Caro, carissimo Lucio. Come al solito, ti scrivo e tu, lo so, mi telefonerai. Siamo lontani, tanto, troppo, ed è difficile colmare questa distanza, soprattutto quando ci sono state novità. Per cominciare, spero tu stia bene, anche se mi hai spesso parlato di vecchi “acciacchi” che si fanno sempre più vivi, frequenti, in questi ultimi tempi. Già l’età, carissimo, ed a quella non c’è rimedio, fino ad oggi. Domani, quando le nostre orme saranno lievissime, chissà che diavoleria inventeranno pur di non uscire di scena!

Qualcosa stanno già provando ma, proprio in questo momento, c’è una grossa emergenza, inaspettata, e per questo incontrollabile. Sembra assurdo: ho letto che vogliono andare su Marte con un elicottero (togliete loro bicchieri e bottigliette!), e qui siamo chiusi ad attendere un nulla-osta per uscire di casa. Purtroppo, è così, e non possiamo farci niente. Sono già passati tre anni dall’ultima volta che ci siamo visti, e mi sembra un’eternità. L’occasione, allora, era eccezionale: un matrimonio, e non l’abbiamo sfruttata fino in fondo; troppa gente, troppo caldo, troppo cibo e bevande: siamo stati assieme senza rivivere la nostra amicizia. Ti ricordi quando è cominciata? Sono passati sessanta anni, ed è sbocciata per caso, come una piccola rosa alla fine dell’inverno. All’inizio, ci frequentavamo ma i nostri mondi, e le nostre età, erano diversi, distanti. Poi, per il caso, per una scelta indipendente dalla nostra volontà, alla fine di una primavera, ci siamo trovati insieme, noi due soli. Tu eri già grande di me; più esperto, più abile nel gestire il quotidiano. Poi, ho scoperto le difficoltà che hai passato nella tua fanciullezza e nella tua gioventù. Ma allora, quando il nostro rapporto di studio, e di lavoro, è diventato quotidiano, niente sapevo, e poco capivo.

Anche in questo momento, mentre là fuori è calato un silenzio innaturale, rammento con tanta nostalgia, e immenso affetto, quanto importante è stata la tua presenza, l’averti accanto per tutte le difficoltà che si presentavano, per la sicurezza che dimostravi; per le due ragazze che incontrammo, e che ci fecero compagnia per giorni, mesi (e la tua, poi, divenne moglie), in quell’esperienza che rammento ora, oggi, sempre. Ti scrivo tutto questo, carissimo amico perché quando, dopo una pausa di alcuni anni, abbiamo ripreso quel vecchio rapporto, mai hai svelato, mai mi hai aiutato a capire i tanti misteri che non avevo compreso, e che non sono in grado di risolvere. Nonostante quello, quella vecchia stagione è stata bellissima perché i giorni scorrevano senza problemi, senza preoccupazioni, nella massima libertà, che non ho più avuto. Oggi, infatti, lo sai anche tu, siamo preda, prigionieri di qualcosa che non riusciamo a capire, combattere; uno sconosciuto ci ha messo in ginocchio, e stentatamente cerchiamo di capire, di fronteggiare, di abbattere.

Ma che mondo è, questo? Dove sta la serenità, la pace, la libertà che abbiamo vissuto insieme più di un mezzo secolo fa? E’ questo il progresso? E’ questo il futuro meraviglioso che ci hanno promesso? Non può essere. Se devo urlare per farmi capire, non può funzionare. Certo, ai nostri tempi se ne uscì il rock-and-roll e il twist, ma non distruggevamo i timpani come oggi. Forse, erano gli sgoccioli del dopo guerra quando, ancora ingenui e candidi andavamo a ballare in una rotonda (non tutti!), e sigillavamo le letterine d’amore (meglio, di cotte) con un bacio. Sì, c’era Speedy Gonzales che cercava di tenere buona Rosita; c’era Fred Buscaglione che sceglieva una ragazza troppo piccola; e Carosone che prendeva in giro l’italiota che voleva fa l’americano. Ti ricordi tutto questo? O hai voluto dimenticare quello che sei stato qui dopo che te ne sei andato? Una decisione così forte, così profonda, così dura che ancora mi lascia senza parole. E tu, che mai mi hai detto perché, per quale motivo hai fatto una scelta così drastica, drammatica. Perché? Oggi, ora, siamo in attesa, tutti, qua da noi ma, credo, anche su da te, che questo momento passi. Questo qualcosa che non va, che ci porta in un vicolo cieco, che affievolisce anche la luce del giorno, che smorza la speranza, la possibilità di poter ritornare a quelli che eravamo prima. Mi sgriderai, lo so: “Franco, ancora il solito pessimista! Forza, forza, vedrai che tutto passerà, e andremo avanti, come abbiamo sempre fatto fino ad ieri.

“Caro, carissimo amico: cosa farei senza di te? Del tuo ottimismo, della tua voglia di fare della fiducia immensa che hai sempre avuto nel futuro; dell’affrontare a muso duro tutte le difficoltà, le asprezze, i muri che sembravano invalicabili. Hai scritto una storia che pochi conosceranno ma, per chi sa come me, dimostra che l’Uomo, quello con la U maiuscola, è stato il vero artefice di una vita che regalato sé stesso a tutti coloro che hai avuto accanto, e che ti hanno conosciuto. Certo, ci sono gli “acciacchi”. Certo, abbiamo commesso errori; abbiamo fatto valutazioni sbagliate, ma siamo profondamente umani: i Santi, mi sia concesso, stanno sugli altari. Noi, tu, io siamo miseri esseri però con un’onestà, una disponibilità, una buona volontà che valgono tanto oro quanto pesano. L’anno nuovo è cominciato, e non voglio essere cattivo profeta. I nostri vecchi, gli antenati, hanno lasciato detto che “anno bisesto, anno funesto”; uno dei tanti proverbi che venivano “dettati dalla terra, perché era la terra la fonte della vita e della saggezza. Una terra bassa, a volte dura, a volte matrigna; ma da lei sgorgavano parole che dettavano il futuro dell’umanità. Insomma, caro amico, ti scrivo in modo un po’ sconclusionato, come in realtà mi sento. Ultimamente, sono sempre più confuso, e per questo mi aggrappo tenacemente al mio passato, al nostro in particolare.

Ti ricordi come trascorrevamo felicemente, giorno dopo giorno, il quotidiano in quella nostra esperienza? Eppure, non facevamo niente di speciale né di eccezionale; lavoro, e ne ho un ricordo molto lieve, quasi aereo, passeggiata in centro; appuntamenti con le ragazze così come quasi tutto lo staff. Che meraviglia! Nessuno ci comandava; nessuno c’imponeva; nessuno interferiva: eravamo liberi, come mai più dopo, e non ce ne rendevamo conto. Sì, perché poi, alla fine di quell’esperienza, la nostra storia si è fatta seria, matura, ma meno, molto meno, sbarazzina, spontanea, vorrei dire poetica. Eh, caro mio, quanti anni sono passati! E per quanti anni abbiamo mantenuto viva la nostra amicizia. Non è facile esprimere l’affetto che si prova per un amico: per me, è qualcosa che va al di là delle mie capacità. Penso, quello sì, che sia un sentimento estremamente profondo, ed eterno, se lo posso dire. Dunque, come stai? Non scrivere, tanto lo so che non ne hai più voglia, anche se io conservo belle, lunghe lettere usavi spedirmi. Ora, c’è il telefono; io scrivo, tu rispondi a voce, e viceversa. Beh, la modernità e la stanchezza hanno vinto. Ancora non usiamo il computer, ma sono quasi sicuro che quell’”aggeggio” non entrerà a far parte del nostro vivere giornaliero. Siamo figli di un’altra epoca; di quella uscita dalla II° Guerra Mondiale; di quella che è riuscita a ripartire e ricostruire; di quella che ogni giorno scopriva una buona notizia, e che ha vissuto con la speranza che il domani fosse migliore di oggi.

Abbiamo raggiunto qualche bel risultato. Abbiamo messo su famiglia; ci siamo tolti qualche soddisfazione. Siamo stati uomini fra gli uomini, disponibili ad affrontare con coraggio il futuro per lasciare un nostro piccolo segno. Abbiamo fatto la nostra parte; poi, saranno altri che ci giudicheranno. Noi, credo, ce l’abbiamo messa tutta, anche se – forse a causa dell’età – non siamo riusciti a seguire le velocissime fughe in avanti di questi ultimi tempi, per non parlare ancora del computer! Carissimo amico: scrivo troppo, lo so, me l’hai detto spesso. Ma è il mio naturale sfogo verso una persona che considero il fratello che non ho avuto; e che non so quando ti rivedrò, data la lontananza, ed i tempi che corrono. Avrai altre mille cose da dirti, e mille domande da farti. Chissà, passato questo momento, che più buio non può essere, ci rivedremo, e già mi riprometto di fare, nei tuoi confronti, un interrogatorio che soddisfi, infine, le tante domande che ti farò. Come cantava Lucio Dalla, non siamo ai sacchi di sabbia alle finestre; certo, tutti dicono che molto cambierà; che non sarà più come prima; che il futuro – forse – ci toglierà i troppo furbi ed i cretini di ogni età. Non lo so, cosa succederà, né se ci sarà. So, fortissimamente so, che niente, tra noi due, cambierà, e che tu rimarrai, come ieri, e come sempre è stato, la mia personalissima e amatissima Stella Cadente. Ciao!

 

P.S. Lucio Bianzan Quersi “passed away peacefully” il 24 ottobre 2019 in Rhos-on-Sea, Galles del Nord. Questa lettera è il mio ultimo atto di affetto che gli dovevo per tutto quello che ha fatto per me.