*Psicologa dell’età evolutiva
“Quando finisce questo coronavirus?” ripete quasi ogni giorno mia figlia di 5 anni
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Già, chissà quando finirà? Dal 9 marzo i nostri figli, nipoti e amici sono confinati nelle mura domestiche, senza avere la minima possibilità di avvicinarsi a tutte quelle persone che costituivano la loro quotidianità. Senza preavviso, hanno dovuto dire addio alla loro routine fatta di maestre, scuola, compagni, per abbracciare un “non si sa quando” indefinito.

Mi si chiede, in concreto, quali conseguenze possa portare questa prolungata quarantena su di loro. Difficile predire con certezza quali potranno essere i risvolti psicologici.

Credo che gli effetti peggiori dipenderanno soprattutto dalla mancanza di vicinanza fisica con le figure di riferimento: nonni, maestre, educatori, ma anche amici e coetanei. E in questo, i bambini più piccoli sono i più fragili. Bisogna, infatti, tener presente, che essi vivono in un mondo fatto di concretezza. Il passaggio al virtuale, attraverso le videolezioni e le videochiamate, non sostituisce né sublima il loro bisogno concreto di contatto.

I piccoli (di età prescolare per lo più, ma il discorso vale anche per i bambini dei primi anni di Primaria), hanno un sistema egosintonico, ovvero riescono a differire i propri bisogni con enorme difficoltà. Tale capacità, comparirà solamente con l’avanzare dell’età. Quando avvertono la mancanza, questa deve essere colmata: risulta difficile per loro comprendere che non si può. E allora possono manifestare sconforto, tristezza, rabbia. Come aiutarli in concreto?

Quando a farla da padrone è lo sconforto (“penso che questo virus non andrà mai via!”), possiamo cercare di rassicurarli, progettando qualcosa di bello insieme: la propria festa di compleanno, un pigiama party, un ritrovo al parchetto di zona, ricordando loro (e anche a noi) che prima o poi tutto questo finirà e sarà solo un brutto ricordo!

Se a prevalere è un sentimento di tristezza (“mi mancano i miei amici”), può essere utile considerare che è un’emozione come un’altra (magari non la più piacevole, certo) e come tale, va accolta. Tuttavia, se questa dovesse prendere il sopravvento e manifestarsi troppo frequentemente, potreste proporre una videochiamata, oppure ricordare insieme dei bei momenti passati, proprio con gli amici che ci mancano di più.

 

Altri reagiscono alla forzata clausura, con rabbia e insofferenza (“non ne posso più di questo coronavirus!”). In questo caso potreste provare a spiegare che cos’è questo virus, com’è fatto, oppure trasformare la rabbia in energia, o smorzare con l’ironia: un bel disegno di un coronavirus puzzone e un po’ maldestro, forse, allenterà la tensione.

Nei ragazzi più grandi, dagli 11 anni in poi, il passaggio al virtuale per mantenere i contatti con amici e compagni di scuola, ha costituito, di fatto, un’amplificazione dell’uso (e abuso) dei social network, in atto anche prima della pandemia. Ma per questi ultimi, la costruzione di legami sociali stabili è già avvenuta: a loro tempo, hanno potuto esperire la vicinanza e il contatto, proprio negli anni in cui era più indispensabile.

É ragionevole pensare che le conseguenze di questo distanziamento, creino disagi che più facilmente saranno risarcibili, una volta che le distanze si accorceranno e potremo tornare ad abbracciarci e a vivere la quotidianità con la tranquillità che ci aveva contraddistinto.

Studio Clamori & Da Valle
Psicologi Associati Pescia – Lucca
www.clamoridavallepsicologi.it