E’ una giornata così, cominciata male, e già presuppone quale sarà il seguito, tanto per rimarcare il mio lato più debole, quello pessimistico. Non so; spero di essere l’unico, ma già stanotte ho dormito malissimo. A letto tardi, come sempre, senza nessuno conforto televisivo. Programmi sgangherati, urlati, di tantissimi colori violenti, e di contenuti superficiali, pesanti, diseducativi. Mi consolo con RAI Storia e trasmissioni sull’arte che apprezzo molto perché mi trasportano, con la mente, in luoghi e musei di cui ho perso le tracce in questi ultimi anni e mi danno la possibilità di riscoprirli con un certo rimpianto.

A letto, dunque, tentando di leggere almeno un capitolo di un libro che mi interessa, e che vorrei sottolineare con il lapis (lo so, sciupo il testo, ma sono migliorato: prima facevo anche le orecchie alle pagine; ora, mi sono munito di qualche decina di segnalibri che mi danno una mano); e che, senza accorgermene, mi risveglio dopo qualche minuto. Forse è meglio dormire mi dico e interrompo quel filo d’affetto che avevo verso quella lettura. E’ notte, e mi sveglio perché sto vivendo un momento di rabbia per una prepotenza; peggio, un’ingiustizia, una di quelle che mi fanno digrignare i denti, e subito mi allarmo: sono sotto cura per quelli, e non mi posso permettere di peggiorare una situazione che già mi fa soffrire, per diversi motivi. Niente da fare.

Mi giro e mi rigiro. Parto, si, bene, provando a continuare un bel sogno passato, un bel periodo che mi ha dato felicità al punto che ora vorrei riviverlo infiocchettandolo per farlo sembrare più bello, e più lungo possibile. Cado così in dormiveglia e mi scordo ciò che pensavo di sognare. Nel silenzio, un miagolio, leggero; poi, uno sgraffiare la testata rumorosamente e nervosamente. E’ lei, Marta, la gatta bianca entrata clandestinamente in famiglia. Da subito, ho capito bene quali sono i suoi diritti, e quali le nostre debolezze, e uno di quelli è di uscire la mattina presto, le 4 o le 5, per le lei va bene lo stesso. Ma, i doveri…? Non per me, è ovvio. Mi alzo un po’ confuso; qualche secondo per capire dove sono, e chi sono; poi, l’accompagno alla sua colazione: i croccantini, che lei sgranocchia mentre io, seduto sullo scalino, deve assistere al suo breakfast. Roba da chiodi? Si, proprio quella. Alcuni secondi, poi la signorina vuole uscire. Apro, e richiudo, e risalgo in camera, sperando non so che cosa. Notte agitata, comunque, e ancora dormiveglia.

Sono le 5 e 20, e non trovo pace: che ci faccio a letto? Niente! Mi rassegno, e mi alzo. Sono un po’ scombussolato. Le solite abluzioni da anni: il solito tè verde col miele; la solita divisa da uscita mattutina; la “messa in moto” della “Bestia”, come io chiamo la caldaia, e sono circa le sei e un quarto. Esco, qualunque tempo faccia. Stamani piove (ci voleva!), e tira vento (la ciliegina), e meno male che a quest’ora non gira nessuno. Sembro un eschimese con un poncho giallo di Gardland, e un cappello a tegamino inglese, più gli stivali. Con questo tempo, che vuoi elaborare? Idee tante, come gli episodi passati; qualche timido progetto, che si spenge con una ventata più forte, con il naso che devo soffiare strombazzando tra una raffica e l’altra tanto per disturbare il silenzio degli oliveti.

La cartiera, giù in basso, che rumina con le sue macchine, e il cui vapore viene subito spinto via per disperdersi dopo pochi metri. La valle della Nievole, che ancora dorme, con le luci che brillano come stelline e che stamani vorrebbero rimpiattarsi sotto le nuvolaglie grigie e scure: anche il tempo è incavolato , e io con lui. Cerco di difendermi; mi piego, sperando che l’ombrello non si contorca su sé stesso: ci mancherebbe questa! Di solito, quest’ora e mezzo mi dà pace. Ritrovo e ripasso il mio passato; i momenti più belli, i volti più cari, i sentimenti che ancora scorrono dentro di me. Beh, diciamo che vanno a strappi: i più belli sono quelli più veloci; invece, i più lenti sono quelli che mi hanno lasciato quel leggero retrogusto amaro di qualcosa che non è stato completato come avrei voluto.

Nulla! Troppo vento, troppa acqua, troppo freddo, e sì che ho lasciato su il pigiama, oggetto di presa in giro da tutti coloro che mi conoscono. Ma che ci posso fare? Sono freddoloso, o invece lo sono diventato? Ho foto (estive) che non portavo nemmeno la fruit: ma ero proprio io? Dunque, si prospetta, anzi, lo è, una giornata così, nera: che allegria! Che devo fare, stamani, oggi? Non ricordo; sono troppo impegnato con l’ombrello, con i fazzoletti di carta, con un panorama grigio e ostile, mentre si stanno spengendo le luci e appare un’alba lattiginosa, scialba, che certo non mi tira su.

Uno, due fischi del treno, che risvegliano una tenue speranza. Mi fermo, e tutte le volte che li sento cerco d’individuarlo, ma succede raramente perché mi dimentico sempre i particolari che segnano il suo passaggio prima della stazione. Stamani poi … Il treno, e i miei sogni vanno con lui. Quante volte ci sono montato! Ecco, proprio ora si apre un piccolo squarcio nella mia mente, e metto in fila i miei viaggi, quelli più lontani nel tempo, con la littorina; e quelli più vicini, spesso per piacere, o mète che mi hanno lasciato un caro dolce ricordo. In cima a tutti, il treno a vapore, quello che usai in Gran Bretagna nel 1962. Victoria Station, e gente, fumo, rumori continui, senza sosta: da lì, arrivava l’Impero.

Cerco di difendermi come posso, ma stamani mi sembra che la natura proprio non mi accetti. Ecco, intanto, la prima macchina che scende dal Castello; ci salutiamo, come da mesi, da anni. Lampeggia, lui; alzo il braccio, io. Se ne va al lavoro, come sempre. Ormai è un rito; quattro, cinque saluti, meno una, e non capisco perché, dopo anni, ancora dimostra indifferenza: io la guardo, lei tira dritto. Mi hanno detto che è timida, ma io ho un’altra idea della timidezza, e dell’educazione. Meno male che ultimamente non l’ho più incrociata.

In questa mattinata balorda, affiorano anche certi spigoli che non fanno parte del mio carattere, ma mi sento solo contro tutti: che delusione, la mia ricerca di serenità! Sono sulla via del ritorno; mi sento vuoto, senza energia, senza la forza che le memorie, di ieri e di ieri l’altro, mi abbiano dato la benzina per ripartire, per continuare a vivere un po’ meglio un altro giorno. Gli ultimi saluti alla Villa, e alla marginina, che hanno secoli di vita; che hanno visto passare centinaia di anime in tempi che noi oggi consideriamo duri perché ormai comprati, e schiavizzati, dalla comodità.

Arrivo a casa, e lei, la Marta, mi aspetta per il secondo tempo della colazione: la carne, tagliata a pezzettini, e tiepidamente riscaldata, mi raccomando! Risiedo sullo scalino, e assisto al suo pasto. Poi, di scatto, senza salutare, sale le scale e si va a posizionare sul divano. Una volta si diceva: è una vita da cani, o da gatti, la loro: una volta … La “Bestia” va; la casa ancora dorme.

Cerco di riassumere gli impegni della giornata, ma con questo tempo, tutto peggiora. Qualche bolletta? Certo! Quelle sono implacabili, inesorabili, immancabili e senza pietà. qualche scocciatura? Non mi sembra, ma non voglio essere ottimista: ci rimarrei male. In fondo, poi, niente di speciale, come ieri, o forse mi sbaglio. Certo, il tempo non mi aiuta, non mi fa timidamente volare; vuoi mettere una bella giornata di sole, con un clima tiepido, e la natura che ti saluta e ti gratifica, come i cinguettii degli uccellini, ad ogni passo. Quante “cose” avrei da fare! Quante da ricordare! E quante da progettare! Invece, no. Questa è una mattinata, un prologo, di quelle che non vorresti, ma che ormai si ripetono troppo spesso.

Mi “strucco”. Cioè, tolgo gli abiti da passeggio, e mi vesto per andare incontro alla città, alla gente. Non sarebbe necessario, ma non voglio né devo perdere le vecchie abitudini che mi hanno accompagnato per decenni: la dignità innanzitutto, oggi e domani. Il tempo è sempre brutto, e tarpa le ali della mia fantasia, del bisogno di evadere, della necessità di rivivere: dove vado se non posso ancora camminare liberamente? Mi rassegno. Farò un giro più breve del solito; un po’ di spesa, con brevi incontri e le solite chiacchiere banali. Via! Torno a casa. Avrei in mente di scrivere qualcosa, ma non sarà possibile: la Marta, nell’esagerato affetto che ha nei miei confronti, si sdraia sulla scrivania in attesa delle solite carezze, come una “sciantosa”, come l’Olimpia di Manet. Sarà un’altra giornata di quelle, perché se il buondì si vede dal mattino