Percosse, strattonamenti, vessazioni, minacce, insulti, ingiurie, bestemmie, turpiloquio”, questi gli schifosi, orrendi, inaccettabili comportamenti che tre donne, di 40, 54, e 63 anni, operatrici socio sanitarie, nella RSA San Domenico di Pescia avrebbero tenuto nei confronti degli ospiti lì ricoverati.

Accuse terribili, derivate da un’accurata indagine con microfoni e telecamere, condotta dai Carabinieri, che ha portato il Pubblico Ministero a richiedere l’arresto delle tre donne e il Giudice delle Indagini Preliminari a disporlo.

Questi i fatti, così come sono stati riportati dalla stampa e dalle TV. La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Nazione, Il Tirreno, TG Com, ANSA e tutti gli altri giornali ne hanno scritto più volte, ne ha parlato perfino Barbara D’Urso a Pomeriggio 5.

In questo modo Pescia è tornata all’onore delle cronache nazionali, non per la Biennale che non esiste più, non per il mercato dei fiori che sta scomparendo per consunzione, ma per un reato che provoca ribrezzo e rabbia.

È atroce colpire e ferire nel corpo e nell’anima chi è indifeso e per di più affidato alle nostre cure, alla nostra protezione. E chi è più indifeso e bisognoso di assistenza di un vecchio o di un bambino?

Io sono parte in causa, così almeno dice l’anagrafe, e per questo mi accaloro, ma anche voi, se sarete così fortunati da invecchiare, lo diventerete.

Si tratta di accuse, son tutte da provare, la magistratura deve fare il suo corso, fino alla condanna definitiva si è innocenti, così dice il nostro ordinamento giuridico.

Questo modo di pensare, magari nei casi più gravi, quando ci scappa il morto, con l’aggiunta di una mesta fiaccolata, ottiene due risultati: il primo mette in pace e appaga le coscienze dei partecipanti e di chi li osserva, il secondo consente un lungo trascorrer del tempo che produrrà, nel breve periodo, una dimenticanza del fatto o un suo annacquamento emotivo e, nel lungo periodo, tra lungaggini, cavilli, imprevisti e prescrizioni, una molto probabile impunibilità dei responsabili del reato.

Qualora anche arrivasse una condanna, quasi nessuno ricorderà il fatto e lo scempio che ha provocato e anche l’effetto di prevenzione e dissuasione a compiere il reato, che la condanna dovrebbe avere, sarà inesistente.

Non è accettabile.

Reati contro la parte più debole della società dovrebbero avere ben altro percorso, ferito e maltrattato il vecchio dura poco, il bambino porterà con sé per tutta la vita gli effetti dei maltrattamenti.

Poveri vecchi! Siamo disposti ad accettare senza opporre resistenza qualunque imposizione sgradevole, a modificare a comando abitudini e gusti, a sopportare con rassegnazione gravami e balzelli ingiustificati e ingiustificabili, ma i vecchi no. Siamo diventati un popolo che non prevede la vecchiaia, la rifiuta o, nel migliore dei casi, la ignora, la nasconde.

Poveri vecchi, una volta rispettati e ritenuti fonte di buonsenso e legame con tutto quello che ci identifica come persone, ed ora rifiutati ed espulsi da famiglie e società. A volte è una libera scelta, a volte non ci sono alternative e il vecchio viene depositato, in attesa che si consumi del tutto, in quello che una volta si chiamava “ricovero”.

A Pescia c’è il San Domenico, dove è avvenuto il fattaccio oggetto di indagine, creato dai cittadini più di un secolo fa per assistere le persone anziane. È un ente pubblico vigilato dal Comune, il Sindaco ne nomina il Consiglio di Amministrazione. È un ente autonomo con proprio patrimonio e uno statuto che ne garantisce autonomia contabile, tecnica e gestionale.

Appena la notizia dei maltrattamenti ai vecchi del San Domenico si è diffusa, il Sindaco si è indignato e ha detto che i vertici della cooperativa che gestisce la struttura ne dovranno rispondere. La cooperativa ha detto che nessuno si era mai accorto di quanto stesse accadendo. Il Consiglio di amministrazione (sono in cinque) ha detto che loro hanno l’obbligo di verifica di conformità delle condizioni contrattuali previste nella concessione dei servizi che la cooperativa si è aggiudicata attraverso un bando europeo. Ha aggiunto che non hanno alcun compito di vigilanza, per legge, sull’operato del personale che, semmai spetta alla cooperativa.

 

Il presidente del C.d.A. si è detto sbigottito per i fatti accaduti e che certi comportamenti potrebbero essere derivati dallo shock psicologico dovuto al lockdown e che, così come sostenuto dai vertici della cooperativa, i familiari non si erano mai lamentati perché i maltrattamenti potrebbero essere stati fatti su ospiti privi o con ridotta capacità di intendere.

 

A questo punto potremmo chiudere aggiungendo che vissero tutti felici e contenti, che la colpa morì fanciulla e che rosso di sera bel tempo si spera.

 

Poveri vecchi.

 

Ma voglio provare, per quelli vecchi e un po’ rimbambiti come me, a tradurre in parole povere: per il Sindaco ne devono rispondere i capi della cooperativa. La cooperativa parla come quello che non c’era e se c’era dormiva. La presidentessa del C.d.A., l’organo a capo del San Domenico, anche a nome degli altri quattro dice che loro non hanno alcun compito di vigilanza, addirittura per legge, sul personale e che devono solo verificare, non si capisce bene cosa, sulle condizioni contrattuali previste dal bando di concessione e che era la cooperativa a dover vigilare.

 

Poveri vecchi, se i fatti fossero veri e sarà la magistratura a stabilirlo,  ma chi aveva l’obbligo di controllare che non veniste maltrattati, picchiati, offesi, trattati come dei rifiuti, voi che per il trattamento ricevuto pagate, o altri pagano per voi anche 100 euro giorno?

 

Qui non si tratta di processare qualcuno, ma non è accettabile il silenzio sulla fuga dalle responsabilità, i vecchi non scappano, stanno lì e devono subire.

 

Per chiarirci le idee in proposito, leggiamo lo statuto del San Domenico, cioè l’atto giuridico solenne che esprime i principi fondamentali dell’ente:

Art. 32- Controlli del Comune sull’Azienda (San Domenico): Il Comune di Pescia esercita la vigilanza e il controllo sull’Azienda.

Art. 16 comma 1 lettera b): Il Presidente del Consiglio di Amministrazione sovrintende a tutti gli uffici e vigila sul regolare andamento dei servizi dell’azienda.

 

Il San Domenico per raggiungere lo scopo principale dettato dallo statuto all’art. 5, cioè l’assistenza agli anziani autosufficienti, parzialmente autosufficienti e non autosufficienti, si serve di una cooperativa individuata attraverso un bando e alla quale ha affidato la gestione integrale della struttura.

 

Nel Capitolato Speciale del bando, tra molto altro, sta scritto che la fisionomia assistenziale del San Domenico pone al centro il rispetto dei diritti degli utenti e l’ambizione di rendere il più possibile l’ambiente di vita all’interno della struttura simile a quello domestico. I servizi richiesti al concessionario sono prestazioni fisioterapiche, infermieristiche e assistenziali, servizi alberghieri con somministrazione pasti, di cura alla persona e altri servizi integrativi.

 

Nell’art, 7 del Capitolato sta scritto che il concessionario (la cooperativa) è obbligato a consentire al concedente (il Consiglio di Amministrazione del San Domenico), tramite i propri rappresentanti, il proprio personale ed i terzi dallo stesso incaricati, il libero accesso alla struttura in qualunque orario e senza preavviso.

 

Questo obbligo non può che essere stato previsto proprio per consentire al Consiglio di Amministrazione di poter esercitare il diritto dovere di vigilanza e controllo.

 

E se fosse vero che né il Sindaco né il Consiglio di Amministrazione abbiano il dovere di controllare, allora chi è che controlla? Poveri vecchi.