Le canzoni di Franco Fasano, interpretate anche da illustri cantanti e cantautori italiani, ci accompagnano sin dai primi anni Ottanta. Basti pensare al suo esordio al Festival di San Remo nel 1981.

Cantautore dalla voce straordinaria, Franco Fasano vanta, tra l’altro, una fitta collaborazione anche con lo Zecchino d’Oro ed è pure autore di numerose sigle per serie televisive per bambini e per cartoni animati.

D. Secondo lei, quali sono gli aspetti salienti della sua splendida carriera artistica?
R. Difficile circoscriverli. Il fatto di aver saputo esternare una passione che arriva da lontano e il fatto di aver sempre avuto una frequentazione con maestri e di colleghi che hanno saputo dare al mio pensiero un fondamento importante quando era il momento. Questo fondamento, nonostante l’inversione di rotta che sta succedendo sul piano dei gusti nell’attuale gusto della musica italiana, sta reggendo a distanza di tempo.

D. Chi era Franco Fasano negli anni Ottanta e Novanta e chi è oggi Franco Fasano?
R. Negli anni Ottanta era un ragazzetto di provincia uscito dalla scuola di Alassio in Liguria, dove si era fatto le ossa cantando e suonando nei caffè, nei concerti, nelle balere e negli spettacoli di un certo tipo, e che si affacciava al mondo della discografia, che in quel momento già si lamentava di non essere più negli anni Sessanta, quando si vendevano sette-ottocentomila dischi di una canzone di successo.
Negli anni Novanta ha avuto la fortuna di rivivere, grazie anche a Radio Italia solo Musica italiana, il ritorno di moda di un certo tipo di musica che era stato considerato alla fine degli anni Settanta e alla prima metà degli anni Ottanta quasi vetusto e anacronistico. C’erano le radio private e la gente era libera di fare le loro richieste. Queste radio, che hanno preso il sopravvento anche dal punto di vista editoriale, si sono poi allineate stipulando dei veri e propri accordi di cointeressenza con alcune case discografiche e così hanno iniziato a trasmettere i pezzi, facendo credere che i successi erano quelli che passavano più volte in radio. E invece non era così. Succede a quelli che rimangono nel cuore della gente e a casa della gente quando si vendevano i dischi come fossero dei libri. Oggi questo non esiste più.. E’ morto anche il “fisico” dove si stampava il cd. Oggi di veramente tuo rimane quell’account che ti permette di accedere a queste piattaforme digitali da un telefonino o un computer.
Oggi Franco Fasano, resiste; anzi continua ad esistere perchè ha avuto la fortuna di essere cantato da tantissime, bravissime e insostituibili voci della storia della musica italiana e anche le canzoni cantate da lui, magari con meno popolarità (oggi si direbbe “visualizzazioni”) da chi le scopre restano testimonianza di una mentalità artistica precisa, rimasta un po’ in disparte complici alcuni discografici che a quel tempo credevano più in lui come autore che cantante.
Comunque nessun rimpianto perchè sono più di quarant’anni che ciò che era la mia passione ed è poi diventato un mestiere che faccio ancora con le stesso entusiasmo.

D. Nelle sue partecipazioni al Festival di San Remo quali sono i ricordi più belli che conserva sia in veste di autore che di cantautore?
R. Bisognerebbe scriverci un libro… Non è detto che lo faccia, ma non sarebbe facile da vendere perchè io so benissimo di non essere un nome da copertina. Pago un pò l’anonimato dovuto alle decisioni di certi personaggi che sceglievano su chi puntare all’epoca. Però non penso che non siano restate anonime canzoni come Io amo, Ti lascerò, E Mo E Mo… come la collaborazione artistica con Peppino Di Capri, Mina, Drupi, Nicola Arigliano, Bruno Lauzi, per non parlare delle donne della televisione che vedevo quando ero piccolo, Loretta Goggi, Raffaella Carrà… Ce ne sarebbe di storia da raccontare. Sono tutti questi personaggi che ancora oggi mi danno la possibilità di essere legato ad un pubblico molto più vasto di quello che cercavo di avere personalmente.

D. Il Festival di San Remo rimane ancora uno dei suoi obiettivi?
R. Il Festival di San Remo è sempre stato un mio obiettivo. Allora quando un artista faceva un disco, per farsi conoscere in breve tempo aveva la possibilità del Festival di San Remo. La cosa vale anche adesso, ma una volta il Festival di San Remo aveva il compito di lanciare canzoni che si auspicava potessero segnare la storia della musica italiana; chiaramente di un certo tipo ma il genere era quello. Era un pò come aspettare i mondiali di calcio per vedere delle belle partite… Oggi il Festival di San Remo si è imbastardito diventando un contenitore televisivo dove la canzone, quella con la C maiuscola magari c’è ma è nascosta in un cocktail di ingredienti stilistici che poco hanno a che fare con le caratteristiche della canzone italiana. Non c’è più la musica italiana che la gente aspettava dal Festival di San Remo, salvo poche eccezioni. Ci sono degli artisti più o meno noti televisivamente che danno vita a tante piccole rassegne all’interno dello stesso Festival per far promozione ad uno stile. Poi per carità lo spettacolo ne guadagnerà ma diventa difficile creare quel clima per cui resta valido il famoso slogan “Perché Sanremo è Sanremo”.

D. Come riesce a far conciliare la sua creazione artistica di canzoni di successo per bambini con quella di canzoni per grandi artisti come Peppino Di Capri, Fiordaliso, Anna Oxa, Fausto Leali, Mina, Cristina D’Avena…?
R. Io non ho mai scritto una canzone per loro, a parte una per Peppino Di Capri e quasi cento per Cristina D’Avena. Quando ho scritto quelle canzoni l’ho fatto perchè mi era necessario; le scrivevo per me, per esprimere quello che in quel momento stavo vivendo, magari stimolato da un testo, anche non mio, sul quale ci costruivo la musica, oppure cantandomi una musica che avevo in testa che avrebbe suggerito a qualcuno la suggestione di un testo. Da qualche anno a questa parte, sarà perché ho imparato dai grandi che ho incontrato, riesco a scrivere lavorando anche sul testo. Questa cosa mi è successa soprattutto con le canzoni per l’infanzia. Quando si scrive una canzone per bambini che pensi di scrivere a Lo Zecchino d’oro non la fai per quel bambino che la canterà. La scrivi perchè pensi a quell’idea. Poi il bambino, una volta scelta la canzone, viene scelto in funzione della canzone stessa. Quindi, io non sono mai cambiato nel mio atteggiamento creativo. E’ cambiato, forse e purtroppo, una certa attenzione alla musica leggera italiana, ma naturalmente fa parte della voglia di evoluzione il cui risultato lo si potrà constatare sol tra qualche decennio. A me, come diceva Troisi, non resta che piangere.

D. Ci può raccontare un aneddoto relativo a qualche sua canzone?
R. Carlo, devi dirmela tu la canzone. Ogni mia canzone ha un aneddoto…

D. “Vieni a stare qui” con la quale si classificò secondo nella Sezione Novità del Festival di San Remo 1990.
R. Quell’anno il Festival di San Remo si svolse al Palafiori anziché al teatro Ariston perchè il comune di San Remo volle promuovere quel territorio e di conseguenza quella struttura commerciale. A parte la location, fu un festival strepitoso perchè dopo tanti anni ritornava l’orchestra. Per la prima volta mi trovai a cantare a un Festival di San Remo accompagnato dal vivo da grandi musicisti; come ero abituato a vedere quando da piccolo in tv o addirittura ci andavo con mio padre che era fotografo. Fu una edizione speciale per quel motivo. Mi andò molto bene e la cosa che mi fece piacere fu quella che molti elementi dell’orchestra erano artisti e musicisti che avevo conosciuto durante la realizzazione del mio disco.

D. Tanti sono gli artisti con i quali ha lavorato e tutt’oggi continua a lavorare. Quale ammira di più? E quale ritiene importanti suoi collaboratori?
R. Non riesco a fare una classifica. Quando scrivi, in quel momento la cosa più importante che stai facendo è quella. A me è capitato di scrivere musiche su testi che qualcuno, che nemmeno conoscevo, mi aveva mandato anche via email e che mi avevano colpito. Per me non esiste una classifica, ma esiste un albo d’oro di preferenze: Fabrizio Berlincioni, Bruno Lauzi, Adelio Cogliati senza dimenticare Depsa che è stato il primo a credere in me, dopo mio padre.

D. Quali cantanti di oggi si avvicinano di più al suo stile e alla sua voce inconfondibile?
R. Ho sentito Diodato ed è quello che mi ha colpito di più per le sue capacità di esternare la sua vocalità che vola in alto. Oggi non è quasi più necessario avere questo aspetto lirico così prorompente. Credo che sia molto importante l’aspetto testuale. Le canzoni che cantano i Cristicchi, i Moro, i Bersani per esempio, sono canzoni di cantautori che hanno saputo dare ai testi un certo spessore, non trascurando la parte musicale.

D. Questo particolare periodo che stiamo vivendo svilisce o incrementa la sua ispirazione artistica?
R. Non svilisce perchè non sto cercando lavoro e rimango acceso per le idee che mi vengono.

D. Poche diecine di giorni ci separano dal 2021. Cosa pensa di regalarci il suo pentagramma e la sua vena poetica?
R. In questo periodo soprattutto di lockdown ho trovato nei miei archivi, tante di quelle canzoni inedite che mi sembrano più forti di quelle che sono uscite in questi anni… In questo momento approfitto per riflettere. Gli uomini hanno bisogno del mondo e non il contrario. Da parte mia c’è una grande voglia di aspettare che riaprano i teatri, le piazze, i luoghi in cui si possa cantare dal vivo e cantare come ognuno è, e io con le mie canzoni, mi sento sempre pronto.