Mons. Pier Giacomo Grampa, vescovo emerito di Lugano (Svizzera), esprime alcune sue valutazioni circa il Concistoro di sabato 28 novembre scorso in cui papa Francesco ha creato 13 nuovi cardinali.

D. A seguito di questo settimo concistoro di papa Francesco, cosa si sente di dire?
R. Una prima osservazione vorrei farla sul ritmo dei Concistori di papa Francesco, praticamente uno per anno, quando i suoi predecessori intercalavano pause molto più lunghe, sceglievano ogni volta un numero più elevato di candidati e probabilmente cercavano di accontentare un po’ tutte le categorie di ecclesiastici che ritenevano meritevoli, con una prevalenza per personalità legate al servizio della Santa Sede (Congregazioni romane, Nunzi apostolici, servizi particolari resi) e una fedeltà a certe sedi episcopali, se penso all’Italia: Venezia, Milano, Torino, Genova, Palermo, Firenze, Napoli, Bologna ecc.
Papa Francesco invece sembra avere altre finalità da raggiungere. La prima quella di rappresentare i Paesi anche periferici di prima evangelizzazione, di onorare Pastori di Diocesi non storicamente legate al titolo cardinalizio. Pensando all’Italia mi vengono in mente: L’Aquila, Agrigento, Ancona, Perugia, ecc. E non dimentichiamo che in questo costante aggiornamento c’è un occhio al Conclave per il quale, se mi si concede l’espressione, papa Francesco vuol cambiare il sangue.

D. A suo avviso, sotto quale chiave occorre valutare la nomina dei cardinali dell’Asia?
R. La sensibilità missionaria di papa Francesco, che non è insensibile a Paesi come Cina, India, Indocina, Indonesia, Giappone, Filippine, ecc. con miliardi di persone e una presenza percentualmente minima di cattolici, mentre i Paesi dell’Occidente sono in crisi e conoscono il diminuire costante della presenza cattolica. Il Papa vede grandi possibilità di accoglienza del Vangelo in Asia, Africa e per altri aspetti nell’America latina. Significativa la nomina di un Cardinale filippino alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Non dimentichiamo che è un Papa gesuita e i Gesuiti per primi si preoccuparono di portare il Vangelo nell’Estremo Oriente.

D. Ritiene che la nomina a cardinale dell’Arcivescovo di Washington Wilton D. Gregory e la nomina presidenziale di Joe Biden possano contribuire a cambiare i rapporti tra USA e Chiesa?
R. Direi di sì, ma più che a livello istituzionale a livello popolare perché è negli Stati Uniti che è sorto il più forte movimento di opposizione a papa Francesco e alla sua linea sociale, aperta, di coraggiosa conduzione sinodale. Invece negli Stati Uniti è sorta una forte corrente avversa a Francesco e molti prelati americani si sono profilati come oppositori della linea nuova di papa Francesco, conquistando anche l’adesione del nunzio a Washington, Mons. Carlo Maria Viganò che arrivò a chiedere le dimissioni del papa, accusandolo di eresia. Quelle di Francesco sono scelte di conferma di una linea di novità e di cambiamento anche per riparare scandali finanziari e di pedofilia e contrastare mentalità di chiusura verso gli immigrati. Trump costruisce muri, papa Francesco ponti.

D. Padre Raniero Cantalamessa storico predicatore della Casa Pontificia ha rifiutato l’ordinazione episcopale mantenendo la fedeltà al saio francescano. Ritiene che abbia dimostrato un grande esempio di umiltà?
R. Fu Giovanni XXIII.mo a volere l’ordinazione episcopale di tutti i cardinali, ma ci furono già eccezioni nel passato. Ritengo che siano rinunce motivate e apprezzabili. Una volta per essere cardinale bastava far parte del Clero, neanche necessariamente essere presbitero, ancor meno Vescovo. La funzione dei cardinali è di essere consiglieri e collaboratori del Papa. L’essere Vescovo presuppone l’attenzione e il servizio di un gregge, di un popolo. Per Padre Cantalamessa non è tanto l’attaccamento all’abito francescano a determinare il rifiuto, ma la fedeltà alla scelta vocazionale che gli soggiace.

D. All’incirca tutti i concistori di papa Francesco hanno destato molte sorprese. Quali, secondo lei, le ragioni?
R. Proprio quella di essere uscito dagli schemi di una certa tradizione, che privilegiava le carriere più che il servizio pastorale, il prestigio e la storia di una sede più che la rilevanza esemplare di una diocesi, la prevalenza dell’appartenenza al vecchio mondo occidentale, la predominanza dei porporati italiani che per secoli hanno favorito l’elezione di un papa di quella nazione. Adesso, dopo Giovanni Paolo I, i tre Pontefici sono stati uno polacco, uno tedesco e uno argentino. Uno polacco non era mai successo, uno tedesco è venuto dopo secoli di papi italiani e addirittura uno argentino del Sudamerica: sono veramente cambiamenti di prospettiva, di impegno, di interessi apostolici, superamento di tradizioni, di abitudini, aperture verso traguardi e orizzonti nuovi, con realismo anche là dove non mancano tensioni con Governi autoritari come quello cinese. “Andate in tutto il mondo e portate il mio Vangelo”, in tutto il mondo, non solo in alcune nazioni storicamente preferite o privilegiate. E’ tutta l’impostazione nuova di apertura di papa Francesco a giustificare queste sue scelte.

D. A parer suo, in questo momento di pandemia, qual è la situazione della Chiesa di papa Francesco ?
R. Non direi la Chiesa di papa Francesco, ma la Chiesa di cui Francesco si trova ad essere il papa. Non dipende da lui la situazione della Chiesa, la crisi che si conosce nei Paesi di antica tradizione cristiana, soprattutto in Europa e anche nel Nordamerica. Lo sbriciolarsi, lo sfarinarsi delle comunità e le celebrazioni non in presenza, ma costrette a ricorrere ai mezzi virtuali, digitali. Papa Francesco ha colto tutto questo dicendo in un discorso alla Curia romana del dicembre scorso, che non siamo più in un’epoca di cambiamenti, ma stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, un cambiamento epocale, che impone revisioni nell’organizzazione centrale della Chiesa, quindi tutta l’organizzazione della Santa Sede e del Vaticano, per la quale si è fatto aiutare da una speciale Commissione di nove Cardinali. Si pensi solo ai problemi legati alla sessualità, ma non si dimentichino i problemi legati alle finanze e ai soldi, pensando all’uso che se ne fa e al patrimonio della Santa Sede, ai privilegi, alle carriere, alla rivalità. Francesco ha fustigato spesso le devianze. Ma pure l’organizzazione delle Parrocchie di fronte alla crisi evidente del Clero, pone qualche problema di trasformazione, di novità. L’impianto diocesano e parrocchiale risale al Concilio di Trento. La pletora delle diocesi in Italia ad esempio è in netto contrasto con l’organizzazione di Paesi africani, sudamericani, per non parlare dell’estremo Oriente. Il Papa invita a cogliere questi segni di novità e a cercare assieme, con spirito sinodale, la risposta.
L’invito a renderci conto che siamo non in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca, è la sfida che papa Francesco sente, lancia e vuole condividere per affrontarla assieme. Il Sinodo dell’Amazzonia ne è un esempio, dove non si sono introdotti d’autorità cambiamenti fondamentali, ma ha provocato tutti a sentirne il bisogno, studiarli e a trovare risposte nuove, da valutare assieme, a confronto con la tradizione, con la storia del passato, con le spinte, le urgenze e le provocazioni del presente. Il tutto in un rigoroso rispetto ed adesione allo spirito del Vangelo: una Chiesa più fedele alla Parola di Dio, capace di leggere i segni dei tempi, piuttosto che guardare ai privilegi del passato.