Accidenti che stupido che sono. Prima non vi ho detto di quanto sia bella Patrizia. E che mi riesce meglio scriverlo qui che dirglielo quando ogni tanto la incontro. Chi non la conosce non può capire. Ed io non posso spiegarvi il profumo di un mazzo di fresie se non lo avete mai sentito.

 

Fidatevi di me, almeno una volta; Patrizia è molto più bella di un mazzo di fresie. Tutti i libri che ho valgono nulla di fronte al suo volto, alla sua educazione, al suono della sua voce, che ti abbraccia anche solo per dirti “ciao”.

 

Patrizia è un diadema raro, datemi retta; è come ascoltare una sinfonia di Mozart o una cantata di Bach. O un brano di Janis Joplin. Fate voi. O anche la forza del ciliegio in fiore che ti lascia addosso quel profumo quando ci monti su. Oppure vedere lo stupore negli occhi di un adolescente che non riesce a scrivere una lettere d’amore alla sua amata.

 

Io, a volte, incontro il suo bel volto la mattina presto ed è per questo che poi mi sento felice e fortunato come quando la bocca del neonato cerca la tetta gonfia di latte della mamma.

Gli occhi di Patrizia sono limpidi come il mare a Capalbio, ed il bello è che lei non sa di portare con sé tanta bellezza, tanto è umile e dal cuore dolce.

 

Volevo però dirvi di quella sera che mia cugina me la presentò. Patrizia era già bella ancor prima che la vedessi.

Si era in estate, perché era da poco passato il mio compleanno. La sera prima aveva piovuto ed io ero felice, anche perché l’acqua non fa male, non è ammoniaca o varichina.

Mia cugina aveva organizzato una cena a base di baccalà arrostito e cavolo romano. E poi patate fritte a volontà. Credo ci fosse pure la carbonara da qualche parte. Ma io non la assaggiai. E però amo da morire la mia cugina perché sa essere imprevedibile e sa come me scompaginare una tranquilla serata tra parenti ed amici.

È bionda e tifa Torino. Chi sa poi perché. Noi non abbiamo parenti sabaudi.

 

Comunque sia, quella sera mi presentò Patrizia. Non so dove e come si fossero conosciute. A me importava davvero poco.

 

Vidi Patrizia e mi parve di essere accecato da una bomba atomica. Avevo 3 a Fisica al Liceo Lorenzini, ma avevo studiato, quando mi avevano rimandato a settembre, gli effetti di quella bomba. Fu un colpo al cuore quando vidi Patrizia e poi non posso qui dirvi tutto il resto.

Di quella sera ricordo solo che, dopo aver stretto la mano di Patrizia, con una scusa andai a vomitare dietro la siepe di bosso che era laggiù verso il torrente e lì rimasi per un bel po’ di tempo. Da solo. Ma non ero triste.

Non avevo bevuto poi molto quella sera, ma rimasi talmente stravolto da quella intelligente bellezza che per parecchio tempo feci fatica a prendere sonno la notte.