“Nessuna epoca si è occupata tanto dei figli come la nostra. Ce ne stiamo occupando troppo, li trattiamo veramente in modo infantile, appena hanno un problema a scuola corriamo da loro”. E così, secondo Morelli, i figli non crescono, non sono abituati ad alzare la gamba per superare gli ostacoli e rendersi responsabili delle conseguenze perchè hanno sempre noi genitori che  “corriamo in pista di fianco a loro per togliere quegli ostacoli e semplificare la loro esistenza”.

Nella mia carriera scolastica di oltre trent’anni ho conosciuto molte generazioni di figli e di genitori e posso affermare che NE È PASSATA DI ACQUA SOTTO I PONTI! Il primo anno di ruolo, San Piero ad Agliana, autostrada Chiesina Uzzanese-Prato (a volte Est a volte Ovest quando ero in corsia di sorpasso per la coda dei tir): la nebbia fitta di quella mattina mi fece ritardare e dalla segreteria della scuola, allarmati, avevano già chiamato l’unico numero reperibile di casa dei miei genitori per avere notizie del ritardo, mettendoli tra l’altro in apprensione visto che da casa ero partita già da un pò e non avevo potuto avvertire. Al mio arrivo fui graziata dalla Dirigente, tra l’altro signora molto severa e ligia alle regole, per aver timbrato il cartellino ad un’ora insolita fortunatamente giustificata; sì, in quella scuola si timbrava l’entrata e l’uscita e guai a chi sgarrava, veniva ripreso anche in pubblico.

Oggi, in classe: elenco degli alunni, accanto ad ogni nome ci sono, per la reperibilità, dai due ai quattro numeri di CELLULARI da poter chiamare: babbo, mamma, nonno, nonna, a volte qualche zio, per avvertire del malessere del bambino che, nel giro di venti minuti, viene ripreso da scuola; non solo, spesso veniamo anche brontolati con il personale ATA, per aver costretto ad assentarsi dal lavoro chi è arrivato in soccorso a scuola (c’è anche chi si è rivolto in presidenza per questo!!!)…

tempi sono cambiati ma quello che fa più dispiacere e caratterizza la nostra società, e a scuola lo possiamo constatare ogni giorno, è proprio il rapporto tra figli e genitori e, di conseguenza, tra genitori e insegnanti, ma questo è un altro articolo. Per esempio, da un colloquio con un genitore, una volta, è venuto fuori che il bambino, tra l’altro in sovrappeso anche a colpo d’occhio, non faceva colazione la mattina e nemmeno la merenda, solo qualche crackers, per la paura di dover andare in bagno SENZA LA PRESENZA DELLA MAMMA. 

Parliamone…qui bisogna far intervenire i dottori esperti, Morelli o Crepet…avrebbero pane per i loro denti! Il rapporto genitori-figli, per quanto i genitori di oggi siano aperti, dovrebbe essere di DISTANZA, e in questo i due esperti viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. “Un genitore è un istruttore di volo”, afferma Crepet, “deve insegnare a volare, non è un RICATTATORE; non è uno che spera che il figlio rimanga in casa fino a 60 anni per diventare il badante gratis dei genitori anziani. Questo è egoismo, NON E’ AMORE!

L’amore è vederli volare per poter fare le proprie esperienze”. In uno dei suoi numerosi incontri pubblici con i genitori, Crepet ricorda una frase di Sant’Agostino che mi piace condividere anche con voi lettori: la SPERANZA ha DUE FIGLI, l’indignazione e il coraggio, l’indignazione per dire le cose che non ti piacciono e il coraggio per cambiare le cose che non ti piacciono. Sembra facile guardarsi in faccia allo specchio e riconoscere quello che non va per poi trovare la soluzione ma non lo è affatto. Possiamo però aiutarci copiando dai più grandi non dai mediocri, afferma sempre Crepet, perché per imparare a giocare a tennis non dobbiamo giocare con i raccattapalle ma con chi sa già giocare; perdi? sicuro! Impari? TANTO! e se cadi va bene così. Le cadute sono importanti perché poi ti rialzi e affronti la vita con le passioni,  quelle passioni che ti fanno essere delle spugne che assorbono mentre chiedi per conoscere e che ti preparano per la seconda parte della vita, dove siamo pronti per DARE QUELLO CHE ABBIAMO RICEVUTO.

Fare i genitori non significa imporsi ma lasciar emergere la loro unicità”; questo è il sottotitolo del libro di Morelli “Educhiamo i figli ad essere se stessi”: il compito dei genitori, dice Morelli, è di affiancare i figli, come in quella corsa ad ostacoli, non per togliere le difficoltà ma per aiutarli ad esprimere la loro vera natura e le loro potenzialità; questo li aiuterà a progettare il proprio futuro e a far sbocciare quello che è insito dentro di loro. Non si può pretendere che i bambini siano tutti uguali, che saranno felici tutti allo stesso modo o che debbano fare tutti le stesse cose per crescere. Non è giusto portare tutti i bambini alla stessa partita di calcio o allo stesso allenamento perché si ritiene che questa sia l’unica via fondamentale per il loro sviluppo; occorre attivare ciò che loro sanno già attivare, il mondo delle fiabe, il mondo dei miti e quello della magia.”

Continua Morelli rispondendo alla domanda COME FACCIO A SAPERE SE MIO FIGLIO ESPRIME LA SUA UNICITA’: è facile! Basta osservare, e quando vedremo il bimbo che è completamente preso dalle cose che fa e non solo nel tempo che passa fuori dalla scuola, ma anche nella scelta delle discipline scolastiche più interessanti, allora e solo allora potremo dire che il gioco è fatto! Insomma, non si nasce genitori ma lo si diventa sul campo, imparando a dire NO e ad essere AUTOREVOLI! BUON LAVORO.
Alessandra Butelli