Pochi giorni fa c’è stata l’inaugurazione della fiera Didacta 2024 a Firenze. Didacta è la più grande fiera europea dedicata alla scuola, si tiene da oltre 50 anni e annualmente registra oltre 850 espositori e circa 100.000 visitatori, che ci vanno per conoscere le novità in fatto di editoria, arredi e accessori, tecnologia e molto altro. Il 20 marzo era presente al taglio del nastro il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha rilasciato ai giornalisti alcune dichiarazioni relative proprio alla tecnologia che sempre più si sta diffondendo nella scuola:

Ci vuole didattica innovativa, che coinvolga i giovani. Non temo l’intelligenza artificiale”, ha detto. Ha poi aggiunto che bisogna stimolare “la creatività degli studenti, con tanto laboratorio”, e si è soffermato sulle riforme della filiera tecnologico professionale.

Valditara non teme l’intelligenza artificiale; e forse fa male. È di pochi giorni fa un articolo di “Orizzonte Scuola” che rivela come in una classe terza della secondaria inferiore 18 studenti su 25 abbiano svolto un tema assegnato per casa dal docente utilizzando Chat GPT. Per chi non lo sapesse ancora, si tratta di uno strumento di Intelligenza Artificiale  “conversazionale”: GPT è l’acronimo di Generative Pretrained Transformer, e no, non si tratta di un simpatico robot della scuderia Marvel.

In pratica è un sistema che, utilizzando algoritmi di apprendimento automatico, genera un discorso simile a quello umano sulla base di input dati (parole chiave, temi, ecc.), e scrive al posto nostro su praticamente ogni tipo di argomento, grazie all’enorme quantità di dati di testo di cui dispone, e che viene continuamente aggiornata. Vogliamo scrivere di biodiversità, o del conflitto russo-ucraino, o delle ultime tendenze in fatto di moda? Basterà inserire alcune parole chiave legate a questi temi e Chat GPT sfornerà un bellissimo articolo di giornale, saggio breve, ecc. Senz’anima, certo; ma corretto dal punto di vista sintattico, scorrevole e privo di errori di ortografia.

Capisco che per chi lavori ogni giorno in aziende o uffici e debba scrivere decine di documenti si tratti di un sistema rivoluzionario, che velocizza certe attività e ottimizza le risorse. Ma se si crede che la scuola e gli studenti possano funzionare come un’azienda coi suoi impiegati si commette un errore di proporzioni gigantesche, anche se mi sembra si tratti di un errore sempre più diffuso e condiviso.

Scrivere, e in particolare scrivere un tema, è un esercizio intellettuale difficile, e come tutti gli esercizi intellettuali difficili è utilissimo. Le parole altro non sono che il veicolo con cui il nostro pensiero si manifesta all’esterno; lo stile rivela tanto di noi stessi, della nostra interiorità, della nostra capacità di organizzare i pensieri e interpretare la realtà che ci circonda con quel senso critico che la scuola dovrebbe promuovere e coltivare. Nel momento in cui deleghiamo a una macchina questa capacità che invece dovremmo far acquisire ai nostri studenti abbiamo fallito; come docenti, come formatori, come i soggetti che dovrebbero mettere in guardia dai pericoli non della tecnologia in sé, ma dell’abuso di tecnologia.

Certo, l’IA non è solo, per fortuna, Chat GPT. A leggere gli articoli usciti sui giornali in questi giorni, a Didacta sono stati presentati anche altri strumenti che, meraviglia delle meraviglie, dovrebbero trasformare i nostri ragazzi in studenti curiosi e desiderosi di apprendere. Alcuni esempi? L’avatar – perdonami, spirito di Alessandro Manzoni – che dovrebbe affiancare il professore nel racconto dei Promessi sposi, o un’app che, progettata come un’escape room, consenta agli studenti di uscire e “salvarsi” solo rispondendo correttamente a delle domande.

Io, quando leggo di queste cose, sento di far parte di una generazione che si è persa. Dev’essere la stessa sensazione hanno provato tutti, nella Storia, di fronte a cambiamenti epocali: probabilmente noi docenti di materie umanistiche siamo i più restii ad accettare le novità, e i più conservatori nel difendere tenacemente le vestigia del passato; ecco, la parola “vestigia”, in effetti, viene proprio di lì, dal passato. Abbiamo faticato ad accettare i kindle al posto dei libri cartacei, il vocabolario di Google al posto del Castiglioni-Mariotti, la videolezione al posto della lezione in presenza. Ma poi ci siamo adeguati, come ci chiede, ogni anno, di fare la scuola. Ci siamo adeguati, e, pur continuando a bofonchiare, abbiamo imparato.

Magari impareremo, chissà, anche a far usare Chat GPT nel modo giusto ai nostri ragazzi. Oppure continueremo a sperare che si mettano in gioco, esprimano la loro creatività attraverso le parole e sviluppino quel senso critico che serva loro, tra qualche anno, a capire che avevamo ragione noi e torto gli sviluppatori di software della Silicon Valley. Provo a chiederlo al mio smartphone, magari lui conosce il futuro, e mi darà un responso oracolare, come faceva la Pizia a Delfi.

PS Ci tengo a specificare che questo articolo NON è stato scritto utilizzando Chat GPT, quindi eventuali errori sono imputabili esclusivamente alla sottoscritta.

Stefania Berti