Suo figlio ha molte potenzialità MA NON SI APPLICA”…quante volte gli insegnanti avranno detto frasi come questa ai genitori in occasione dei colloqui per condividere un disagio dell’allievo di cui l’insegnante deve valutare il rendimento scolastico. Nel colloquio poi emerge anche che il disagio, la svogliatezza, la pigrizia, si manifestano anche a casa quando i genitori stessi vengono messi alla prova nel momento dei compiti: i figli si distraggono con facilità, giocano e fanno fatica a concentrarsi con conseguenze sul loro rendimento scolastico.

Dai media nazionali poi affiora un’altra voce che afferma: “Gli studenti sono delle larve, incapaci perfino di leggere e scrivere, prigionieri dei social e di tutte le diavolerie tecnologiche, ma non sono la maggioranza, sono i più VISIBILI”. E sono proprio quelli visibili che si sentono in diritto di esprimere tutta la loro negligenza quando sono in classe o, addirittura, sotto forma di violenza verso i compagni e gli insegnanti, ripresi ovviamente dai cellulari con video che poi diventano virali.

La scrittrice Dacia Maraini ha scritto al riguardo: “Oggi i ragazzi vogliono partecipare al processo di conoscenza, ma in un rapporto orizzontale, ovvero dialettico. Quando vengono dotati di stimoli alla consapevolezza e alla creatività, i ragazzi rispondono con gioia. Basterebbe rendersi conto di questa metamorfosi del sistema di apprendimento per migliorare le scuole”.

E in che modo? “Rendendo piacevoli i luoghi fisici in cui si impara” afferma ancora la Maraini “perché la scuola non è una azienda, dove il Dirigente deve stare dietro ai conti, ma è un luogo di formazione e su quello si deve puntare, investendo sia economicamente che culturalmente”.

Prima di raccontare e presentare la nostra realtà scolastica dell’Andreotti, vorrei spezzare una lancia a favore di quel disagio o svogliatezza che caratterizza gli studenti fin dalla primaria. E’ proprio alla primaria che spesso lo scarso impegno, legato ad un dato fisiologico relativo all’età, non avendo ancora acquisito un grande senso di responsabilità, può essere un campanello di allarme legato a problematiche più complesse.

Analizziamo questa affermazione.

Alla base delle difficoltà scolastiche di molti bambini, segnalate molto spesso da noi insegnanti, ci sono problematiche non sempre di facile individuazione, e le motivazioni per cui un bambino non riesce a raggiungere buoni risultati a scuola può essere legato a molteplici problematiche.

Occorre fare una distinzione tra quelle che si definiscono difficoltà generiche di apprendimento e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

Le difficoltà di apprendimento che riguardano in generale tutti i bambini, in diversa misura, alle prese con i primi apprendimenti scolastici, sono legate al processo fisiologico e allo sviluppo proprio dell’apprendimento in itinere; possono dipendere da fattori emotivi, come il distacco dall’ambiente familiare per dover affrontare un percorso di crescita diverso e impegnativo, o dalle difficoltà di socializzare con i pari e con gli insegnanti che provocano ansia e riduzione della concentrazione, oppure dall’appartenenza a minoranze linguistiche e culturali che rallentano l’apprendimento. Questi sono studenti che hanno necessità di attenzione speciale nel loro percorso didattico e per loro la scuola si organizza con un percorso personalizzato che li supporti nell’affrontare e superare le proprie difficoltà e li aiuti ad integrarsi con i compagni e gli insegnanti, per non sentirsi in minoranza.

Quando si parla invece di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, abbreviati nell’acronimo DSA, ci si riferisce a difficoltà di tutt’altro genere, che rappresentano un vero ostacolo all’apprendimento scolastico, e possono manifestarsi singolarmente o in associazione tra loro, casistica assai diffusa nelle nostre scuole. In relazione alla tipologia di deficit funzionale, il DSA può appartenere a quattro categorie: la DISLESSIA (disturbo nella lettura), la DISGRAFIA (disturbo nella grafia), la DISORTOGRAFIA (disturbo nella scrittura) e la DISCALCULIA (disturbo nelle abilità di numero e di calcolo). Poiché queste difficoltà si manifestano in bambini con intelligenza nella norma e un buon funzionamento nei vari aspetti della vita, spesso i genitori che ancora non hanno inquadrato il disturbo, pur segnalato dagli insegnanti, possono attribuire il mancato raggiungimento dei buoni risultati a pigrizia o svogliatezza o, spesso, ad un capriccio.

Occorre perciò tenere in considerazione questi campanelli di allarme che, se trascurati o non trattati in tempo, rischiano di creare maggiore frustrazione nel bambino prima, nello studente adulto in seguito, con conseguente perdita di motivazione e interesse per tutto il percorso di apprendimento.
Ecco quindi l’importanza di una diagnosi tempestiva per non incidere sullo sviluppo dell’autostima. E in attesa delle diagnosi e delle certificazioni necessarie cosa può fare intanto la scuola? Mi riallaccio all’Andreotti e alla realtà scolastica in cui mi trovo a lavorare con grande soddisfazione, anche perchè è la professione che ho scelto (ricordate qualche articolo fa, la mia maestra/modello ADRIANA?).

La nostra Preside Gesuele, Dirigente a 360°, capo a tutti gli effetti, si è impegnata per trovare la soluzione e venire incontro a queste difficoltà. Nella nostra scuola primaria sono presenti classi che seguono il progetto “Senza Zaino”, e io sono proprio in una di queste. Il progetto “Senza Zaino” ufficialmente nasce a Lucca nel 2002 grazie al Dirigente Scolastico Marco Orsi e attualmente coinvolge più di duecento istituti in Italia. L’appellativo senza zaino è riferito al fatto che in effetti gli scolari non hanno bisogno dello zaino carico da portare a casa, perché trovano a scuola il materiale di cui hanno bisogno. A casa per i compiti portano solo qualche quaderno o libro una volta alla settimana, di solito il venerdì per svolgere compiti di riepilogo settimanale.

Anche l’arredamento cambia: al posto dei banchi ci sono tavoli di diverso colore dove poter svolgere lavori di gruppo o laboratori e zone della classe attrezzate per laboratorio di italiano, di matematica o di altre discipline. Il metodo di lavoro si fonda sui principi dell’ospitalità, della responsabilità e della comunità, e i bambini trovano il materiale di cancelleria condiviso e gli arredi colorati, possono muoversi negli spazi dell’aula rispettando la regola decisa in AGORA’ e responsabilizzarsi nella scelta dello svolgimento del lavoro o degli strumenti didattici costruiti dall’insegnante per supportare i loro apprendimenti, singolarmente o in coppia/gruppo.

La classe diventa una comunità di ricerca, un luogo dove tutti collaborano con diverse attività laboratoriali per raggiungere lo stesso obiettivo e dove anche il bambino a disagio si sente integrato. E alla secondaria, questa ricerca del miglioramento del successo formativo degli studenti continua con il PROGETTO DADA. L’idea dei Dirigenti Fattorini e Cangemi nasce dall’AULA LABORATORIO: i ragazzi hanno non più un’aula assegnata ma le aule sono assegnate ai docenti. DADA infatti è l’acronimo di Didattica in Ambienti di Apprendimento e non è un progetto innovativo perché è già presente in molte realtà scolastiche europee.

Le aule, affidate ai docenti, vengono organizzate in base alla disciplina e al docente che le ha attrezzate sistemando l’arredamento presente nel modo che ha ritenuto più congeniale; i ragazzi che ogni due ore cambiano la classe e hanno un armadietto personale nei corridoi dove tengono il materiale delle diverse discipline, diventano così responsabili perché si muovono spostandosi nella classe successiva dopo aver ritirato dall’armadietto l’occorrente adeguato.

Questo processo di “movimento nella scuola” permette ai ragazzi di fare una breve pausa, prima di iniziare la nuova lezione, e di riattivare l’attenzione, come affermano le neuroscienze. In quell’aula ogni docente crea una propria biblioteca e organizza i materiali per svolgere lavori di gruppo o di ricerca con programmi appositi sulla LIM presente. Come concludere? Una scuola laboratoriale che mette al centro non più il libro di testo ma il bambino e il ragazzo ha, quindi, un effetto positivo sul rendimento scolastico, perché permette di rinforzare la stima di sé e la partecipazione indipendente e di incidere, quindi, positivamente sul rendimento stesso… ed io faccio parte di tutto questo… comprese le famigerate PROVE INVALSI!!

Alessandra Butelli