Più di cinquant’anni fa usciva negli Stati Uniti un libro destinato a diventare un classico, La folla solitaria, di David Riesman, un ritratto spietato e triste della società di massa dell’Occidente sviluppato. All’uomo autodiretto, l’homo faber artefice di se stesso, subentrava l’uomo eterodiretto, sopraffatto dal bisogno di approvazione, guidato dal bisogno di conformarsi agli altri in un mondo di apparenze; espropriato della propria individualità resta solo, nella folla intorno a lui e che pure dà il senso alla sua esistenza.

Guardiamoci intorno adesso! Siamo lontanissimi dal secondo dopoguerra, orgogliosi del nostro stile di vita e della nostra cultura. Siamo tutti indipendenti e capaci di scegliere da soli. Eppure se guardiamo meglio vediamo un esercito di soldatini tutti uguali, come quelli verdi di plastica con cui giocano i bambini: hanno posture diverse ma per il resto sono identici. E ci troviamo così nei banchi di scuola, sui social, davanti ai prodotti di intrattenimento nella condizione in cui ciascuno di noi non è più se stesso ma si fonde con gli altri in un unico io generico e asettico. Stessa musica, stesso linguaggio, stesso abbigliamento, stessi prodotti di tendenza. Il vecchio detto «l’abito non fa il monaco» non è mai stato tanto inattuale quanto adesso, ormai quel saio e quella chierica classificano in tutto e per tutto il frate, indipendentemente da ciò che si cela sotto le vesti. Siamo quello che appaiamo. Si sono appena conclusi due eventi paradigmatici dell’industria culturale odierna, geograficamente molto distanti – uno a Sanremo, l’altro a Los Angeles – eppure così simili! La banalità è come una melassa che a stento risparmia i contenuti più nobili. A stento, tra twerk, polemiche stucchevoli, slogan nobili ma senza riscontro, detti solo perché «fa bello». Non che sia tutto da buttare, non lo penso. È che anche quel poco di originale che sarebbe rimasto da dire finisce col risultare insincero e poco convincente.

Nell’antico regime essere diverso voleva dire essere sospetto, pericoloso. Anche nel Novecento abbiamo avuto la nostra buona dose di diversi e delle pratiche aberranti escogitate come ‘soluzioni’. Eppure la diversità dovrebbe essere il cuore della società democratica, il nucleo che più di tutto andrebbe custodito gelosamente e preservato. Le società di uguali non sono un paradiso di uguaglianza, ma di conformismo, non di uomini ma di servi: l’uguaglianza si esprime proprio nel diritto a essere diversi. Se sei un tantino originale, nel tuo gruppo di pari, ti guardano male. Se dici una cosa che un pelo si discosta dalla vulgata, ti guardano male. Ce l’abbiamo fatta: siamo diventati esattamente come quei prodotti tutti in serie che vogliamo. Aver clonato la pecora Dolly è scoperta scientifica da poco considerata la clonazione che siamo riusciti a produrre in noi stessi nell’arco di poche generazioni. Potremmo dare la responsabilità ai mezzi di comunicazione, ma anche Platone attribuiva alla scrittura – che alla sua epoca, in una società ancora orale, era paragonabile per innovazione al nostro internet – gran parte dei mali del mondo: da aristocratico qual era guardava con disprezzo la diffusione non selettiva del sapere. Certo, i social ci condizionano; i programmi della De Filippi ci condizionano; le multinazionali ci condizionano. È come quel serial killer che si giustifica dicendo «le voci me lo hanno fatto fare!». Io credo che internet funzioni un po’ come un catalizzatore, un amplificatore di tutto quello che ci portiamo dentro, di buono e di cattivo. Ma è solo un amplificatore, appunto, non la causa ma un megafono interplanetario. Una volta si diceva del diavolo che non può costringerti a fare le cose, te le può indicare – come con la storia della mela – ma sei tu a decidere. Il diavolo moderno veste internet, ma mi sembra per lo più una scusa, come Adamo che si discolpa dicendo «È stata Eva a farmi mangiare la mela». Forse era destino che andasse così, per il nostro modo di vivere e produrre occidentale; forse anche Napoleone pensava che tutti i francesi dell’epoca fossero uguali, solo che non poteva saperlo perché non aveva internet. Ora ci sono gli influencer, tanti influencer, che guadagnano più dai vari gadget personalizzati che dalla loro effettiva professione – che non si capisce poi quale sia. Devi fumare, devi bere, devi avere il ragazzo, devi essere vegana. Tanti «devi». Devi curare il tuo aspetto, devi dire certe cose e pensarne altre. E se non le fai almeno fingi di farle, se non vuoi essere un deviante. Ma non ti preoccupare, perché puoi conformarti anche nella devianza. Vuoi protestare contro il riscaldamento globale? Eccoti circondato da una schiera di ragazzetti tutti con la loro borraccetta ecocompatibile – di plastica! Sei indignato contro la deriva razzista degli ultimi tempi? Scendi in piazza insieme a quelli che giusto l’altro ieri hanno votato per quelli che la deriva l’hanno portata al governo. Quello che mi dispiace più di tutto è la mancanza di fantasia. Guardate i film: sembra che non abbiamo più fantasia e dobbiamo pescare idee nei fumetti, in sequel infiniti, nella Marvel, facendo remake di remake.

Lo scorso 9 febbraio, Parasite ha vinto quattro premi Oscar, tra cui quello di miglior film dell’anno. È un film su una famiglia che si adatta come un parassita al modello di successo socio-economico impadronendosi della vita di un’altra famiglia. Forse questa è la ragione del suo successo: la capacità di farci riflettere come in uno specchio. Un po’ ironico, a pensarci bene: il film più originale dell’anno parla del desiderio di emulazione. Forse siamo tutti conformisti. Forse anche questo mio articolo è, in fondo conformista, forse di un conformismo minoritario. I pochi ribelli che continuano spavaldi già pensano idee che non sono più le loro, ma che sono state pensate da altri. L’uomo ha sempre ricercato ciò che era raro, diverso, speciale perché fosse alla fine unico, allora perché ormai per le strade non si vedono che fotocopie, che peraltro inquinano e l’inquinamento, si sa, è oggi fuori moda? Concludiamo così, con un briciolo di speranza. L’originalità finisce per diventare un’etichetta e quindi un’altra forma di conformismo, però c’è una differenza importante: c’è chi aderisce a un’idea, o a una moda, perché non ne possiede una propria, e chi invece lo fa perché vi si riconosce; gli uni lo fanno per fede, gli altri per scienza. Non è una differenza da poco. Questi sono gli ultimi eroi rimasti, i Bong Joon-ho che non si sono ancora arresi a Spiderman.