È un fatto: questa sarà una Pasqua diversa, e non solo perché “a porte chiuse”: certamente possiamo viverla solo come un momento transitorio, sperando di tornare presto alla nostra vita consueta. Tuttavia, come credente, questo tempo mi interpella più a fondo, perché evidenzia dei nervi scoperti nella mia vita di fede. È curioso che le letture offerteci in questi giorni siano, perlopiù, volte a dare una mera “spiegazione” del fenomeno: da una parte stanno coloro che in modo zelante difendono la scelta della Chiesa di adeguarsi al decreto del governo che ha imposto la celebrazione a porte chiuse, motivandola come condotta responsabile; dall’altra, invece, si trova chi, animato da altrettanto sacro fuoco, propugna una riapertura immediata in quanto la Messa è “indispensabile“ per un cattolico. Certo, entrambe le posizioni hanno punti di forza ed altri di debolezza, sui quali non mi soffermo; ma quello che mi colpisce di più è il fatto che nessuna delle due parti tenti di operare un discernimento di quello che sta accadendo in ordine alla dimensione costitutiva della Chiesa che è quella di dover evangelizzare (essere “in uscita“, dice Papa Francesco). In fondo, mi chiedo, le chiese vuote di questi giorni non rischiano di essere profezia di ciò che saranno tra qualche anno? O meglio: le chiese “piene“ (per modo di dire…) cui siamo abituati, lo sono davvero o è solo apparenza? Cioè coloro che vengono in chiesa hanno fatto per davvero esperienza nella loro vita di Cristo risorto – questa è La Pasqua, non altro – o no? Me lo domando spesso, soprattutto se ripenso alle “stanche” confessioni pasquali che in genere ascoltavo in questi tempi. In fondo le chiese vuote di oggi sono specchio “rovesciato” dei discepoli dopo la morte di Gesù, chiusi nel cenacolo per paura dei Giudei (e molti “cristiani” hanno più paura di morire per il Covid-19 che del peccato!): è Cristo risorto che passa dalle porte chiuse dei loro timori per spalancarle e “aprirli” al mondo. Ecco dunque quello che ritengo essere il messaggio di speranza di questo tempo: esso è profezia di una Chiesa che deve cessare di stanziare in maniera autoreferenziale solo entro gli spazi a lei congeniali per trovare il coraggio di annunciare con nuova inventiva Cristo risorto. Se ci pensate, in fondo, quando mai noi preti abbiamo usato il linguaggio del mondo come questo tempo, mettendo da parte gli strali contro quei social-media che “ci isolano gli uni dagli altri“? Avete mai visto parroci, anche di una certa età, collegarsi in streaming per poter vedere i catechisti o i ragazzi, per meditare il vangelo, per offrire sussidi di preghiera a chi è chiuso in casa? E ancora: quanto tempo era che non vedevamo famiglie riunite in casa a pregare? Mia nonna (classe 1906) mi diceva che da piccola tutte le sere dicevano il rosario “a veglia”, ma io (classe ’67) in casa mia non ho fatto mai alcuna esperienza di preghiera familiare! E dunque benedetto questo tempo nel quale le famiglie hanno riacquistato coscienza di essere una piccola Chiesa, che per prima ha il compito battesimale di annunciare Cristo al suo interno, ai figli, e poi “fuori”, nei vari ambiti nei quali è coinvolta; e benedetto ancora questo tempo nel quale noi preti abbiamo forse avuto modo di riscoprire e valorizzare il significato vero di paternità, liberandoci dai lacci e lacciuoli delle nostre burocrazie ecclesiali. Dunque questa può essere veramente una Pasqua di morte e risurrezione: si, perché occorre morire alle nostre visioni ecclesiocentriche ed aprirci alla novità di Dio che si offre a noi in modo sempre inedito e impensabile. Nonostante le pietre pesanti che gli mettiamo sopra per “addomesticarlo”, per rendere più “digeribile” un Vangelo che invece di consolare gli afflitti pare voler affliggere i consolati, alla fine Lui viene sempre fuori dal sepolcro che gli abbiamo scavato, passa sempre attraverso le mura nelle quali ci siamo rinchiusi e, mostrandoci le ferite che il suo Corpo porta per le nostre infedeltà, ci viene incontro dicendo: “Pace a voi!”.

Papa Francesco emette una straordinaria benedizione “Urbi et Orbi” (per la città e il mondo) – normalmente impartita solo a Natale e Pasqua – da una piazza vuota di San Pietro, in risposta alla pandemia globale di coronavirus (COVID-19) , in Vaticano, 27 marzo 2020. ANSA / REUTERS / YARA NARDI / POOL