Anch’io come molti ho atteso con trepidazione la conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte che, alle 20:30 di domenica sera ha annunciato la cosiddetta “fase 2“ di questa emergenza per il Covid-19, e anch’io, come molti, sono rimasto deluso e perplesso di fronte a molte parole usate per annunciare poche, anzi pochissime novità. Moltissime persone sono rimaste sconcertate dal fatto che non vi sia stato alcun tentativo di apertura rispetto alle celebrazioni liturgiche (anch’io, lo ammetto, pensavo che qualcosa si sarebbe mosso); tuttavia moltissime altre hanno accolto con sgomento altrettanto grande, la notizia che le loro attività economiche  o imprenditoriali non erano tra quelle per le quali si poteva intravedere un’apertura in tempi brevi. Anche moltissime famiglie sono state colpite dal sapere che avrebbero potuto tornare al lavoro ma che non si sia parlato di come poter fare a lasciare i figli a casa: a una domanda specifica su questo punto il premier ha risposto in maniera vaga e fumosa.

Queste comunicazioni, devo ammetterlo, non mi hanno spiazzato del tutto, un po’ me le aspettavo. Esse sono conseguenze di un “peccato originale” che consiste nel fatto che non si siano stabiliti criteri oggettivi per stabilire i parametri necessari per la riapertura in sicurezza di ogni attività. Mi spiego; si dovrebbe essere detto che, per evitare rischi di contagio, è necessario garantire una distanza interpersonale di tot metri, una proporzione minima tra presenza umana e cubaggio della struttura (una cosa sono 100 mt quadri con un soffitto di 2,50 o di 7 mt.), la possibilità di sanificare gli ambienti ogni tot ore, la possibilità di regolarne l’accesso da parte di personale specializzato, la necessità di dotarsi di termometri per misurare la temperatura ecc.

Ecco, dati questi criteri, qualunque attività, sia essa commerciale, industriale, sportiva, culturale e anche religiosa -come le parrocchie- potrebbe verificare, in maniera del tutto autonoma e responsabile, se possiede le caratteristiche richieste e, conseguentemente, se riprendere le proprie attività. In mancanza di questi criteri mi si spieghi quali siano le motivazioni per le quali alcune attività possono riaprire e altre no; mi si spieghi come mai si possa fare un funerale con 11 persone (perché 11? È la stessa cosa 11 persone in una cattedrale o nella cappellina dell’ospedale?); mi si spieghi perché un funerale con 11 persone si può fare e una messa o un rosario con 11 persone non si può fare; mi si spieghi come mai si è pensato di riaprire alcune attività industriali e commerciali per far ritornare al lavoro molte persone e non si è pensato a come faranno queste persone a gestire i figli; insomma, molte cose vorrei che mi fossero spiegate ma dubito che lo saranno.

Da sacerdote, poi, non posso che farmi voce del dolore e della frustrazione di moltissime persone che attendevano anche una graduale riapertura delle celebrazioni liturgiche: su queste colonne ho già avuto modo di esprimere il mio pensiero anche sui lati positivi -se così si può dire- di questo forzato stop alle messe domenicali, per cui non vi ritorno. Ma, detto questo, non si può non riconoscere l’evidenza che sempre noi sacerdoti abbiamo indicato e cioè che non è possibile per il Popolo di Dio fare a meno della Domenica nella sua dimensione celebrativa comunitaria. Noto, peraltro, che finché questa cosa non l’ha detta il Papa, ad affermarla sembrava di essere dei fanatici oltranzisti, nonché “tradizionalisti”: e mi chiedo se la CEI avrebbe emesso il durissimo comunicato  di risposta al Decreto della Presidenza del Consiglio col quale denuncia una violazione della libertà di culto da parte dello Stato italiano, se non si fosse sentita le “spalle coperte” dalla posizione del Pontefice.

Un’ultima osservazione: tutto ciò, se ho sentito bene, è stato motivato dalle decisioni di un fantomatico (mi viene da definirlo così) comitato di super esperti. Dunque abbiamo scoperto che non siamo governati da coloro che, in un modo o nell’altro, abbiamo eletto, ma da altre figure, sconosciute ai più, che decidono del destino di famiglie intere, della vita o della morte di attività economiche sull’orlo del baratro, della libertà di manifestare la fede di milioni di persone, senza alcun contraddittorio, senza sentirsi in dovere di giustificare con puntualità ciascuna delle decisioni prese. Questo è ciò che mi rattrista maggiormente e anche quello di cui ho più paura.