Chissà, tra poco sarà ancora Natale. Ricordo questa data, questo evento, con una malcelata nostalgia di quando, diversi anni fa, era la più bella festa dell’Occidente. E’ vero: non c’era – ancora – il dilagante consumismo, e così la partecipazione spirituale era forte e sentita, con la famiglia al centro del nostro piccolo universo. Col trascorrere degli anni,  a poco a poco si è allentato l’afflato religioso; la famiglia sembra sia in continua evoluzione; l’umanità sta perdendo le sue radici e, con esse, la propria identità. E’, comunque, la Storia che macina e trasforma la vita dell’uomo e della donna, e forse sono io che mi ostino a ricordare tempi lontani, che sfumano all’orizzonte e lasciano dentro bagliori di nostalgie e rimpianti. E’ un esercizio inutile? Non so; di certo so che ancora rivivo quel tempo come fosse una magìa, un avvenimento che sentivo, e vedevo, coinvolgente per tutto il paese, e i suoi abitanti, tanto che le normali discussioni e le forti antipatie, si acquetavano, e l’aria in giro era più tranquilla, come se quel momento mettesse tutti d’accordo.

Ero piccolino, e di quei rari ricordi mi sembrava aleggiasse sopra di noi, nel Canterobù, una voglia di partecipare che andasse al di là della normalità, perché era la solennità che lo richiedeva. Così come oggi, per motivi diversi, anche ieri l’altro – che di giorni da festeggiare erano pochini – questa ricorrenza coinvolgeva grandi e piccini, e la preparazione era frenetica tanto che io stentavo a capire cosa realmente stesse succedendo. C’era fermento, in famiglia, e anche fuori. Mi sembra di ricordare che una parte importante della programmazione fosse la composizione della capannella. Così, si andava alla ricerca della borraccina, del muschio, che rendeva più bucolico, più idilliaco, la piccola presentazione. Non era una grande fatica, anzi; si usciva la mattina insieme al babbo e, dopo pochi minuti, ci inoltravamo nel bosco. Allora quello era “pulito”, “ordinato”, tale da rendere facile la raccolta.

Si riempiva il canestro, quello che serviva anche per la raccolta dei funghi: i “cercatori”, allora, erano pochi, ma in grande competizione fra di loro. E c’era rispetto. La selva era ben tenuta, e di proprietà di qualcuno, che concedeva il permesso di passaggio e raccolta per parentela o amicizia. Lo ricordo bene; non era certamente un giardino, ma la sua tenuta era continua perché ancora rappresentava una ricchezza. Il bosco che ho conosciuto era veramente un piccolo-grande spettacolo; rarissimi i prunai, e soltanto qualche riccio di castagna rimasto come ricordo di quella raccolta. Intanto, il canestro si riempiva in poco più di mezz’ora, un’ora, e la base era pronta. E le castagne? Una festa nella festa! Quelle secche, e quelle più “fresche”, per le frugiate e i balloccioli, così chiamavamo quelle lesse. E i necci, e le torte, le farinate: dal bosco alla tavola, e non sapevamo quanto fossero importanti per la vita!

In casa, si sceglieva un angolino; si distendeva il muschio, e si cominciava a sistemare le figurine di gesso necessarie. La maggior parte di quelle erano di pecore e pastori, personaggi indispensabili per rendere l’atmosfera semplice come quasi volesse confermare che la pastorizia ancora presente qui da noi. Poi, si continuava a sistemare i personaggi, ma non era un grande impegno; quelli, erano pochini, poco più degli essenziali. Una pastorella con la brocca; un ponticello sopra il rio di carta stagnola; un calzolaio e un falegname. Intanto, nella capannuccia, prendevano posto il bue e l’asinello, e la culla, vuota. Ai due lati, S. Giuseppe e la Madonna, in attesa del Bambinello, e tutto finiva lì. Cominciava il conto alla rovescia, al quale io, noi, partecipavamo con curiosità e una trepidazione che cresceva giorno dopo giorno. C’era anche un alberello: un piccolo gineprino (chi poteva, un abetino), addobbato con qualche pallina colorata e un nastro luccicante. Tutto qui, perché il continuo del Natale era, per tutti i ragazzi, la Befana.

 

Così, ieri l’altro. Poi, i tempi cambiano; il Natale scende dal gradimento spirituale e sale su quello commerciale; l’America, ancora lei, detta questo passaggio. Non più gineprini né abitini, ora, ma un bell’abete (magari anche di plastica, falso) e decine e decine di palle, di nastri, di regali. La capannuccia? Ai vecchi, che la fanno non per abitudine ma per convinzione, cercando d’interessare i nipoti. Ma la grancassa dello spreco e della volgare apparenza ha conquistato quasi tutti. Quindi, Natale e Capodanno, pur cambiando, sono sempre ricordati; invece, la povera Befana, quella con le scarpe rotte, è rimasta fuori di casa, magari perché non può più volare mancando i pezzi di ricambio; o, perché senza il necessario brevetto! Povera, cara vecchietta: anche tu, ormai, sei considerata “obsoleta”, sorpassata, inutile e perciò non più produttiva. Tempi duri per i ricordi più semplici e calorosi!

Dunque, il mio Natale di tanti anni fa, non c’è più. Quell’atmosfera un po’ strana, ma che intrigava la curiosità infantile, è finita. Come finito, sembra, il raccoglimento di tutta la famiglia per un giorno unico all’anno (Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi), e che finalmente si riusciva a mangiare bene e tanto: portate buonissime e abbondanti, che era allora, si sa, un appuntamento rarissimo. Una domenica super, con la classica Messa e quel frizzìo dentro che quasi tutti i bambini esprimevano nella “Letterina di Natale”. L’hanno scritto tutti, quelli della mia età; certo, qualcuno ce la dettava, ma noi la scrivevamo con convinzione e passione. Tra l’altro: “Sarò buono; studierò; aiuterò in casa; magari, avrò un regalino e dirò le preghiere prima di dormire”. Quanto candore, quanta ingenuità, quante piccole-grandi gioie così spontanee e genuine!

Era Natale, e si sentiva anche fuori perché le campane, ancora per poco orologi che scandivano il giorno, venivano sciolte e suonavano a stormo; però, non richiamavano gli uomini per guerreggiare, ma ad essere felici e allegri insieme a loro. La terra gira, con gli altri “pianeti”; il tempo passa; la cronaca diventa Storia. Invecchiando, la mente s’immerge, lentamente, in piccoli-grandi banchi di nebbia, e i paragoni tra ieri ed oggi si fanno con minore equilibrio. Certo, la vita era diversa, più dura, con le comodità che ci hanno un po’ troppo rilassato. Abbiamo perso quell’innocenza che era stata un ingrediente importante per questa festività. Oggi, anche i bambini più piccoli pongono domande che a volte confondono pure i genitori. Poi, come ciclicamente succede, cambia anche la contemporaneità. Alti e bassi della Storia ci sorprendono come se quella non fosse Maestra di vita; e un po’, ci prende lo sgomento. Tra poco, sarà Natale, un altro per me, che ho quasi smesso di contarli.

Sarà un evento in sordina e non sciupone ed esagerato come fino ad ieri. Sarebbe un bel cambiamento, se non fosse imposto, tanto da trovarmi, come un malvivente comune agli “arresti domiciliari”. In questi momenti, non proprio felici, ci restano solo vaghi ricordi di ieri, e un presente velato da una latente tristezza. D’altronde, questa umanità scialacquona, superficiale, presuntuosa ed arrogante, ha voluto dimenticare ciò che ci dicevano gli avi: la nostra vita cammina sulle corna delle chiocciole, e farebbe bene se lo ricordasse, e l’accettasse. Faremo, ripeteremo, gli usuali auguri che, proprio ora, ci sembrano banali e ripetitivi. Io, no! Anni fa, quando avevamo la possibilità, con grande piacere, passavamo qualche giorno dal mio carissimo – very good friend – Lucio, su, nel Paese del Dragone Rosso, durante un party da lui organizzato proprio per noi, conoscemmo una signora (si chiama Carole), che era dirimpettaia al nostro.

Ebbene, quella signora c’invio, per anni, gli auguri per Natale. La lontananza, e gli affanni (aveva un figlio disabile e un divorzio alle spalle) ci fanno perdere, purtroppo, certi contatti. Contatti che poi, come molti altri nella nostra vita, rimpiangiamo, con un pizzico d’amarezza per non aver mantenuto quella conoscenza. Sono stato fortunato. Uno degli ultimi che lei mi spedì, l’ho incorniciato, e fa bella mostra di sé tra i miei pochi libri. Così recita: “Eat, drink & be merry”. Cioè: “Mangia, bevi e sii felice”. In questi tempi oscuri, è l’augurio più bello che si possa fare. Perciò, contentiamoci di questo, per un sereno Natale a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà.