Non ricordo quanti anni avessi. Credo fossi sui dieci. Si era quindi nei primi anni Ottanta. Ricordo che era prima della Novena, perché ancora il prete non era venuto a casa dei miei a dirmi se volevo servire le nove messe che precedono il Natale. Qualche sera prima, nonna mi aveva preparato il caldano e volle portarmelo in camerina. Io non sapevo perché lo facesse, a parte il fatto che nonna a me voleva bene. Mi spogliai davanti a lei e, con indosso solo un paio di mutande striminzite pure loro dal freddo, mi fiondai nel letto freddo che pareva una bara. Nonna aveva con sé il caldano con dentro certi tizzoni arancioni che quasi mi misero paura. Non avevo il riscaldamento in casa e il caldano era un ottimo espediente per me che andavo a letto come se entrassi dentro una vasca piena di cubetti di ghiaccio.

 

Fatto sta che nonna si avvicinò e mi disse di star pronto perché il tempo della semina del grano si stava avvicinando. Mi diede un bacio sulla fronte, portò via il caldano e mi lasciò solo in quella stanzina buia e fredda. Il grano. E che era il grano? Sapevo dalla scuola che dal grano si faceva la farina e da questa il pane, la pizza ed i panini. Ma che c’entravo io con il pane? Ne ho sempre mangiato poco, anche se mi piace. E la pizza…nonna diceva sempre che noi non eravamo meridionali e quindi che dovessi lasciar perdere la pizza…roba da napoletani, ricordo diceva nonna. Fatto sta che mi addormentai subito pensando al grano. Ricordo anche che sognai io che stavo in mezzo ad un campo di grano e c’erano certe spighe lunghe e bionde che mi rincorrevano per tutto il campo, fino a quando saltai una fossa laggiù in fondo al campo nostro e trovai rifugio in un capanno, altrimenti le spighe mi avrebbero ammazzato, credevo io.

 

Nonna, una mattina che si era soli in cucina mi si avvicinò e mi chiese se ero pronto per la semina del grano. Mancavano pochi giorni a Natale, questo lo ricordo perché erano già due sere che andavo a servire messa alla novena alla chiesa vicino casa. Sarà stato intorno al 18 dicembre.

 

Fatto sta che la domenica seguente mi vedo entrare in camera nonna alle sette e mi butta giù per terra il piumone che mi avvolgeva tutto come fossi un bozzolo di seta e mi scuote piano piano dicendomi di svegliarmi perché si doveva andare a seminare il grano. Siccome si era in tempo di novena e me la cavavo piuttosto bene a servire messa, non me la sentii di scomodare i santi del calendario e quindi ubbidii e in breve tempo ero fuori nell’aia pronto per la semina. A proposito del calendario.

 

Quel giorno era domenica e la Chiesa festeggiava san Pietro Canisio. E chi era questo san Pietro? Io conoscevo dalla dottrina che ci faceva il prete il sabato pomeriggio solo quello con il mazzo di chiavi in mano e che fu crocifisso a capo in giù perché si riteneva non degno di essere inchiodato come il suo capo, cioè Gesù. Poi san Pietro divenne il primo vescovo di Roma, il primo papa, insomma. Non era certo un uomo da poco. Ma nonna, ricordo che mi stavo mettendo gli stivali verdi lì nell’aia, mi disse che era questo san Pietro Canisio un gesuita olandese del Cinquecento. Chi lo sa come nonna sapesse di quest’altro sant’uomo chiamato Pietro, e sarà stata la poca voglia di seminare il grano e perché ancora alle 7.15 il sole non si vedeva, ma a me andava bene che questo Canisio fosse olandese e gesuita, che era come dire fosse stato un attaccante dell’Inter. A me andava bene tutto. Mi bastava finire la semina del grano e poi avrei anche fatto una preghierina al Canisio, che in fondo in fondo credo fosse stato un brav’uomo, se no non lo avrebbero fatto santo, mi dicevo. I preti sono tutti furbi, non stupidi. Non fanno i santi a caso. E poi questo Canisio cominciava a starmi simpatico. Non fosse altro perché mi avrebbe ricordato per sempre la prima semina del grano insieme con nonna.

 

Quella mattina di domenica nonna ed io spargemmo a spaglio, così mi aveva detto che si diceva, il grano nel nostro campo, ed io, che neppure ci credevo, avevo imparato a seminare il grano! Che bello, mi dicevo, ci scriverò su un bel racconto e la maestra sarà contenta! Ma sarà contento anche il Canisio, che ora era mio amico, mi dicevo, e difatti, dopo che nonna mi disse che avevamo fatto un eccellente lavoro, rientrammo a casa e nonna, toltosi il grembiale da campo, era già lì a farmi due uova affrittellate, che sapeva mi garbavano da morire. Io le mangiai con gusto, ma prima feci una veloce preghiera a quel Canisio, il mio amico Canisio, perché nel suo giorno io avevo imparato a seminare il grano.