Dicono: dovete stare a casa, niente feste, niente pranzi, niente riunioni familiari. Lo facciamo per voi che siete la categoria a rischio. A Natale vi diremo noi con chi potrete stare, chi potrete abbracciare, lo facciamo per voi che siete la categoria a rischio.

Grazie, grazie, grazie tante per la premura. Lo sappiamo di essere a rischio, l’abbiamo sempre saputo, siamo a rischio ancor prima di nascere e più si campa più il rischio aumenta, comunque grazie.

Ma, a proposito di tanta premura, dove eravate quando ci hanno chiusi negli ospizi e nessuno controllava se ci prendevano a botte, perché i vecchi danno fastidio, si pisciano addosso e non ubbidiscono?

O quando tantissimi di noi sopravvivevano a stento con quattro soldi di pensione, sentendoci pure dire che eravamo dei parassiti e se, soli e costretti ad assentarci anche per un giorno, ci occupavano l’appartamento sbattendoci in strada. Dove eravate?

Comunque grazie, salteremo il Natale, staremo da soli, al sicuro. Del resto ci siamo abituati. Faremo finta che il Natale non esista e ci concentreremo sull’Epifania. Allora forse potremo muoverci, se ce lo permetterete.

Del resto è una festività altrettanto importante: è la manifestazione del Dio a noi poveri mortali. La natività, in fin dei conti, si potrebbe considerare un fatto privato: è con l’Epifania che c’è la dichiarazione al mondo che Dio è venuto in mezzo a noi. Sarà quella la nostra festa e andremo a vedere il presepe, sempre che il nuovo Papa, che vuol cambiare tutto, non cambi anche quello.

Andremo a vedere i Re Magi, che poi re non erano ma, probabilmente, erano anziani, vecchi come noi, però saggi. E portavano doni. E vedere qualcuno che dona ci riempie il cuore. Donarono, oro, incenso e mirra, lo dice il Vangelo. Anche molti altri portarono regali e nella confusione qualcuno ne approfittò, (il diavolo è sempre in agguato), per prendersi i doni dei Magi. E di mano in mano son giunti fino a noi.

Erano spezie, meravigliose, miracolose spezie.

L’oro infatti non era oro come un antico e impreciso traduttore del Vangelo dall’aramaico ha scritto, ma curcuma: una spezia orientale di colore giallo splendente come l’oro. Qualunque cosa mischiata o ricoperta con essa assumeva un bellissimo colore giallo come l’oro.

Ai nostri giorni se ne fa un uso esagerato, basta prendere come esempio l’odioso commercio di carne umana: quando giovani africani disposti a tutto pur di andarsene in cerca del miraggio occidentale, pagano per essere stivati su gommoni improbabili o barche fatiscenti per essere raccolti in mare, in punti stabiliti, da finti salvatori con navi equipaggiate e finanziate da ignoti ricconi. Molti muoiono in questo infame traffico ma, una bella spolverata di curcuma politico-giornalistico-televisiva e tutto sembrerà oro colato. Salvatori beatificati, trafficanti inesistenti, paradiso occidentale a portata di mano dei fuggiaschi. E che importa se qualcuno muore, tanto il prezzo l’ha pagato prima di partire, che importa se gli altri diventeranno mano d’opera schiavizzata dalle mafie o abbandonati a loro stessi e condannati per sopravvivere a delinquere, a mendicare, a prostituirsi.

Una bella spolverata di curcuma e tutto sembrerà oro e il messaggio che verrà diffuso somiglierà a quello degli imbonitori delle fiere di una volta: “Venghino signori, venghino, c’è posto per tutti”.

Anche l’incenso è una spezia meravigliosa, è il profumo della santità, è l’odore che impregnava le chiese della nostra infanzia, intenso, gradevole, non aggressivo, ma così forte da coprire ogni pestilenza.

È arrivato il virus, l’influenza che uccide. Era abbondantemente annunciato perché veniva da lontano, dalla Cina, da dove sennò? Un impatto devastante! E i provvedimenti per contrastarlo? Chiacchiere, solo chiacchiere: chiudere, impedire, vietare, bloccare, isolare, abbandonare. Fare è scomparso dal panorama delle cosiddette autorità.

Tutto il peso è ricaduto sul personale sanitario, incolpevole e vittima anch’esso di decenni di politica sanitaria disastrosa, contrabbandata come “il meglio del meglio”. Risultato: è dovuto intervenire l’esercito per portare via i morti e c’è chi è morto abbandonato nel bagno di un ospedale.

Non si poteva fare di meglio!

Questo il ritornello che viene ripetuto da chi non può ammettere la propria incapacità e con essa ingrassa. Del resto basta un poco d’incenso nel turibolo sui carboni accesi di trasmissioni compiacenti (i giornali non li legge più nessuno, servono solo a produrre pseudogiornalisti che vanno in TV a sparare cazzate), e l’aroma intenso e inconfondibile copre il fetore di comportamenti disgustosi.

Il terzo dono dei Magi: la mirra.

È sublime, è magica, è misteriosa, pochi sanno cosa sia.

È una spezia antichissima dal forte profumo amaro, pungente e agrodolce, capace di avvicinare all’immortalità. Così almeno credevano gli antichi.

Mischiata con olio veniva usata dagli egizi, che la spalmavano sui defunti per procedere all’imbalsamazione che avrebbe preservato il corpo nel viaggio oltre la morte. Per gli ebrei l’olio con la mirra era riservato al servizio di Dio. Il gran sacerdote veniva unto, così come il re ed erano messia, che significa proprio unto del Signore. Anche da noi, quella che si chiamava estrema unzione, altro non era che olio con polvere di mirra, l’olio santo, spalmato sull’infermo per agevolarne il trapasso nell’aldilà.

Basta guardarsi attorno o, meglio, basta guardare la TV e gente morta politicamente da decenni, squallidi personaggi che si sono consumati a furia servire strisciando ora questo ora quello, potenti di turno, con una spalmata d’olio di mirra son tornati come nuovi. Esseri dalla consistenza morale di un grissino vengono a imporci cosa dobbiamo fare e cosa non fare e, soprattutto, che dobbiamo smettere di pensare, di criticare, di protestare. Solo ubbidire, chiusi, immobili e muti ma tranquilli. È nel nostro interesse, siamo una categoria a rischio e se non ce la fa la seconda ondata ce la farà la terza, che già son pronti a fare arrivare.