Il 13 aprile 1506, Lunedì dell’Angelo, una scultura lignea raffigurante la Vergine, posta su un altare della chiesa di San Francesco, si mosse inaspettatamente davanti ad alcuni fedeli.

Sparsasi per Pescia la notizia, il Consiglio comunale nominò, qualche giorno dopo, alcuni governatori per amministrare le offerte che già arrivavano copiose. Il miracolo aveva attirato l’attenzione dei pesciatini; adesso occorreva gestirlo ed incanalarlo correttamente.

 

Il 20 aprile, ad una settimana dall’evento prodigioso, alcuni pesciatini si riunirono nella chiesa di Santo Stefano per costituire una Compagnia della Misericordia; scopo della confraternita era confortare i poveri, i malati, i giustiziati e seppellire i morti.

 

Perché in Santo Stefano se il miracolo avvenne in San Francesco? Santo Stefano era la chiesa “cittadina” per eccellenza, dove ogni anno si celebrava, come oggi, santa Dorotea, la patrona di Pescia. Qualsiasi miracolo, ieri ed oggi, si legge anche tenendo conto degli aspetti economici e politici che lo determinarono; per questo, il Comune entrò in maniera decisa, fin dagli inizi, dentro il sodalizio caritativo pesciatino.

 

Il 29 aprile 1506 fu accordato alla Misericordia di edificare un oratorio, a fianco della chiesa di Santo Stefano. Sappiamo chi furono i diciassette fondatori della confraternita di Pescia: vi erano un fiorentino, due pistoiesi e un livornese; tutti gli altri erano pesciatini. Molti di questi avevano già svolto o avrebbero svolto, di lì a pochi anni, importanti incarichi in seno alle istituzioni civiche locali.

Coloro che già dagli inizi decisero di entrare a far parte nella confraternita, aderendo agli obblighi di carattere evangelico dello statuto, percorsero fino a che potettero le strade del territorio pesciatino, umiliandosi a chiedere le elemosine non per sé ma per aiutare i loro concittadini poveri ed offrire se necessario anche cure mediche.