Anche a Pescia il fenomeno associativo è stato un fattore di articolazione della società locale ed uno dei punti di appoggio più rilevanti verso una concezione di uno stato laico e liberale (siamo intorno alla metà dell’Ottocento).

 

Con la nascita del regno d’Italia si ebbe, infatti, uno sviluppo decisivo dell’associazionismo mutualistico, che divenne uno dei pilastri per la classe dirigente liberale, che in esso vide uno strumento per segnare la sua presenza in un campo, quello assistenziale e previdenziale, fino ad allora appannaggio delle istituzioni ecclesiastiche.

 

I testi dei teorici del mutualismo italiano illustrano i capisaldi della mutualità liberale: le caratteristiche delle mutue associazioni; il ruolo degli esponenti dei ceti dirigenti; la quota associativa da versare ed il pagamento di un sussidio per aiutare nelle cure i soci ammalati. Si affermò cioè l’espressione filantropica e paternalistica delle classi dirigenti locali, che avevano il compito di fare da garanti della pace e del benessere delle classi sociali tutte.

 

Le associazioni di mutuo soccorso si basavano sul mutuo aiuto, scambievole, reciproco e vicendevole. Erano caratterizzate dalla reciproca solidarietà tra i soci e da un fine sociale ben definito; erano rette da strutture ed organismi democraticamente eletti; riconoscevano a tutti i soci uguali diritti e chiedevano un contributo fisso agli iscritti con cui veniva costituito il capitale sociale, venendo così assicurati i diritti ai soci.

 

Il mutualismo abituò, in un certo senso, gli iscritti all’attuazione reale di forme democratiche, portando alla formazione di un tessuto di legami solidaristici e mutualistici che saranno poi alla base dei partiti politici moderni. Fu sotto il regime fascista che dette associazioni furono abolite, cancellando di fatto la conquista garantita dallo statuto albertino in merito alla libertà di associazione.

 

Per quanto riguarda la presenza delle associazioni mutualistiche in Valdinievole subito dopo l’unità, disponiamo di una serie continua e regolare di statistiche ministeriali, già a partire dal 1862. Undici anni più tardi viene registrata la Società di mutuo soccorso fra gli operai di Pescia, la quale contava 324 soci, di cui ben 66 donne. Nel 1885 si aggiunge la Fratellanza artigiana di Pietrabuona.

 

Un repertorio fondamentale per studiare la presenza sul territorio valdinievolino di queste Società è dato da una pubblicazione edita dalla Giunta Toscana nel 1980. La voce “Pescia” registra la presenza di nove statuti di altrettante Società: dall’Associazione fabbricanti pastai e fornai (1891), alla Società dei reduci dalle patrie battaglie (1880), dalla Società sindacale dei lavoranti cappellai in feltro (1875), alla Fratellanza militare di Val di Nievole (1887).

 

Non segnalati nel repertorio ministeriale, ma tuttavia presenti nel territorio, sono, tra le altre: la Società risparmio e lavoro (1890), il Mutuo soccorso di Castelvecchio (1892), la Società cattolica fra gli operai ed agricoltori di Collodi (1894), la Lega di resistenza fra i conciatori di pellami di Pescia (1901), la Lega di miglioramento fra cartai della Valdinievole (1903), la Società di previdenza e mutuo soccorso fra gli ecclesiastici della diocesi di Pescia (1903) e la Società fra i tranvieri della Lucca-Pescia-Monsummano (1911).

 

L’articolo 2 dello statuto della Società fra i conciatori di Pescia, edito nel 1888, riporta che «la Società è costituita in base ai principii umanitari per il progressivo miglioramento morale ed economico della classe lavoratrice». Detta Società si proponeva di soccorrere con sovvenzioni giornaliere il socio reso impotente al lavoro da temporanea infermità; di sovvenire il socio impotente al lavoro per cronica malattia con annue elargizioni; di promuovere la cooperazione istituendo magazzini cooperativi di generi alimentari a beneficio dei propri soci; di favorire con appoggi morali e materiali i soci che, privi di lavoro, ne cercavano un altro in altre località. L’articolo 3 afferma che detta Società si propone di promuovere con ogni studio possibile quanto poteva essere utile e vantaggioso alla classe operaia. L’articolo 11 afferma che «i soci che in forza di legge verranno chiamati al servizio militare o coloro che accorreranno volontari per la difesa della patria e per la libertà dei popoli, saranno esonerati dalla quota settimanale fino a che non abbiano ripreso stabile lavoro».

 

Il Consiglio direttivo era formato da sette membri, cioè il presidente, il segretario, il cassiere e quattro consiglieri. Tutti i componenti duravano in carica un anno e potevano essere rieletti.

Pure la Società tra gli operai di Pietrabuona, fondata nel 1879, aveva finalità simili: soccorrere con sovvenzioni giornaliere i soci in caso di malattia acuta o cronica; aiutare i soci ammalati nell’assistenza sanitaria; facilitare l’acquisto dei medicinali loro necessari; appoggiare le istituzioni che erano coinvolte nella previdenza, la mutualità e la cooperazione fra le classi.

 

Furono questo tipo di Società a costituire le prime forme associative nelle quali era presente la classe operaia in un ruolo che non possiamo definire del tutto subalterno. In effetti, se consideriamo bene la realtà politica entro cui sorsero queste forme associative (solo il 2% della popolazione costituiva l’elettorato attivo) il proliferare di queste Società permetteva ai soci di praticare ed esercitare semplici modalità democratiche, come l’obbedienza allo statuto e la libera discussione.

 

Il mutualismo divenne una sorta di palestra dove si allenavano quei diritti che al di fuori delle Società non erano riconosciuti dalle leggi dello Stato.

Nei primi anni del Novecento, la Società fra gli operai di Pescia, in leggera flessione rispetto al decennio precedente, ma pur sempre con 462 soci, di cui 72 donne, risultava essere una tra le più floride e vivaci del comprensorio valdinievolino.