Questo sarebbe un pellegrinaggio che ha poco di spirituale e molto – invece – del calore che può dare la pura, profonda amicizia di un calcio dato ad un pallone da amanti del football. Parlo di amanti perché dovrebbe essere noto che gli amanti sono coloro che fanno sì parte della grande schiera dei dilettanti ma, a differenza di quelli, sono coloro che nelle situazioni che affrontano lungo il loro percorso, prendono la parte migliore di ciò che viene offerto. In parole spoglie dai ghirigori, barocchismi e apparenze, gli amanti sono quelli che, davanti ad un vassoio con un pollo arrosto, o lesso, scelgono la coscia e/o il petto, lasciando agli altri ciò che rimane. Così è in tutti i campi dello scibile umano, senza dimenticare le patate arrosto

 

Dopo questa introduzione che dovrebbe mettere sulla buona strada il lettore, parlerò di un episodio durato una settimana ma di una intensità, di un calore, di un’allegria che unì giocatori di una squadra di calcio che coronarono la loro attività sportiva non solo con qualche vittoria, ma riuscirono a stringere un’amicizia che ormai dura da quasi mezzo secolo. Ed ecco apparire il treno.

 

Appena posso, la mattina me ne vado, e mi fermo, alla stazione. E’ un punto di riferimento che da sempre mi trasmette emozioni, ricordi, messaggi. Parcheggio, e già si notano i vuoti. L’ingresso è ormai un anonimo corridoio, e manca addirittura il bigliettaio. E’ evidente: Pescia è una stazione di passaggio e, come quelle, indifferente a tutto e a tutti. Esco verso i binari; poche persone, annoiate e distratte, perché sembra che il viaggio non riserverà loro né interesse né felicità. Scendo nel sottopasso (alcuni, ancora, non lo fanno); risalgo, e cammino lungo la piattaforma verso sud-ovest, Viareggio, e comincio così a srotolare i ricordi che mi legano a quella direzione.

 

Non moltissimi, perché quasi tutti si riferiscono a quella opposta, verso Firenze e altre. Dei primi, uno lontanissimo, verso l’Ospedale S. Chiara di Pisa. Qui fui ricoverato perché facevo la pipì marrone, se gli sbirri del politicamente corretto me lo permettono: poverini, sono talmente impegnati … Non capivo, allora, la gravità; parlavano di problemi ai reni, con i miei allarmati, ma io non stavo male, e quel colore non mi trasmetteva niente di particolare. Fui trattenuto là una decina di giorni, in una lunga camerata di soli ragazzi, sottoposto agli esami necessari. L’ultimo lo ricordo benissimo, mi vide impegnato nel bere 1 litro d’acqua, seduto sua una lettiga, con una caraffa e un bicchiere in mano; però, l’ultimo lo rovesciai a terra: non ne potevo più!

 

Credo che i risultati fossero stati negativi perché mi rimandarono a casa e non ricordo di aver seguito una cura particolare. Fu un dentista, il dr Lodato, che risolse quel problema perché erano proprio i denti la causa di quel colore. Fu con il secondo viaggio verso il mare, dopo decenni dal primo, che ebbe inizio l’argomento che affronterò, e che dovrei definire uno di quei rarissimi episodi che rendono accettabile, per non dire meravigliosa, una settimana della nostra esistenza. Radunare 16 persone, farle stare insieme per giocare, mangiare e dormire, e sentirsi fuori dal mondo, credo sia un fatto quasi irripetibile perché quel gruppo coronava anni di gioco, di vittorie e sconfitte, di un rapporto umano che mai più si ripeterà, così come c’impone una regola di vita: la prima volta non si dimentica più!

 

Incontrai, nel lontano 1977/1978, Adriano Ciampi, Sauro Brandinelli, Maurizio Convalle e Fabio Silvestri quando entrai a far parte del G.S Duomo, e che divennero il primo nucleo di quello che poi diventerà una fortezza inespugnabile, perché con loro fu costruito ciò che diventerà un modesto, piccolo mito del calcio amatoriale lucense. Per un triennio, fino al 1979/1980, facemmo parte dei bianco-celesti, con in panchina Ernesto Nucci. Ottenemmo dei buoni risultati, ma non vincemmo e, probabilmente, questo malumore si riversò sulla squadra. Nonostante si fosse creato un bel gruppo, ci fu una rottura, ed “emigrammo” nel neonato US. Bar Sport S. Stefano grazie all’iniziativa di Sauro Franchi, che radunò un bel numero di giocatori. Lo stesso Ernesto Nucci ne contattò alcuni, mentre Presidente fu Paolo Baroni. Il campo di casa, Pietrabuona, ma l’entusiasmo iniziale non bastò ad amalgamare i “fuoriusciti” con i nuovi innesti. Finimmo malissimo la stagione e, quindi, punto e a capo.

 

Il gruppetto rimasto, ci riprovò, fondando il G.S. Club ’81, cercando di raccogliere giocatori che condividessero le nostre idee. Fu vinta una Coppa Provinciale UISP nella finalissima al vecchio Loik di Monsummano, e sembrava che la storia potesse continuare. Però, ci furono ancora contrasti tra chi preferiva l’amicizia e chi, invece voleva solo vincere perché sembrava che la vittoria fosse più importante di quell’affetto. Altra giravolta. E fu da qui che i quattro citati agli inizi: Brandinelli, Convalle,Ciampi e Silvestri, più Corsetti, si ritrovarono, il 14 aprile 1984, nel garage di Torello, babbo di Gino Luporini, per fondare una nuova società con gli “scarti” del Club ’81, ed i “migliori” del S. Salvatore, mai visti prima dei Blue Boys calcio, maglietta blu perché il colore più originale rispetto a quasi tutte le altre.

 

Il 27 maggio1984 ci fu l’esordio ufficiale con questa rosa: Baroni Paolo (vice pres.); poi, Profili, Sodini A., Brandinelli, Tafani, Convalle, F. Silvestri, F. Forassiepi (Pres.), Ballini, Innocenti, Franceschini, Luporini e Corsetti. I risultati del torneo furono confortanti tanto che affrontammo il campionato UISP di Lucca con entusiasmo e qualche speranza. Questa fu la rosa: Ballini, Bassetti, Brandinelli, Carmignani, A. Carrara, M. Carrara, Ciampi, Convalle, Corsetti, Franceschini, Luporini, Paganelli, Pieretti, Profili, F. Silvestri, Tafani, Riccomi e Nardi.

 

L’amicizia crebbe partita dopo partita, così come i risultati. Partecipammo nell’UISP fino a quando rimase la sezione calcistica; poi, ci spostammo all’AICS, e infine approdammo, nella stagione agonistica 1988/89, all’U.S. ACLI. Purtroppo, anche qui vigeva l’ “americanata” dei play off e proprio qui alle ACLI la delusione fu ingigantita. Vinto il campionato regolare, fummo clamorosamente sconfitti, dopo aver chiuso la stagione con 20 vittorie e 2 pari, per aver sbagliato una partita nelle semifinali! Si doveva, ragionevolmente, cambiare.

 

Infatti, nella stagione successiva (89/90), riuscimmo, nell’assemblea riunita prima dell’inizio del campionato, a cancellare quella bischerata a stelle e strisce e, ancora imbattuti dopo 20 partite , con 19 vittorie e 1 pari, ci aggiudicammo ufficialmente il nostro primo campionato. Fu così che l’Associazione  ci chiese se avessimo voluto partecipare alle Finali Nazionali che si sarebbero tenute in quel di Cagliari, addirittura! Una velocissima indagine tra di noi e, con l’entusiasmo alle stelle, il 19 maggio1990 ci ritrovammo alla FS di Pescia da dove, verso le 14.00, saremmo saliti sul treno con destinazione Civitavecchia-Cagliari. Facce allegre? Di più!! Avevamo dentro una gioia difficile da far comprendere agli altri e a chi ci circondava. Salirono: Brandinelli, Paganelli, A. e M. Carrara, Angelino Todaro, Tafani, P. Sodini, Pieretti, Angelo Biondi, Innocenti, Convalle e Corsetti: Gino Luporini salì ad Altopascio, salutato da Brunella e figlia con sorrisi smaglianti: un gran bell’augurio!

 

Poco dopo Lucca, tutti ai finestrini per salutare in tante maniere il campo sportivo di Cerasomma, emblema che ci seguirà fino in fondo (e il campo è rimasto lo stesso!). A Pisa si cambia per Civitavecchia. Morale altissimo. Chitarra strimpellata. Parole a valanga. Risate di pancia e di cuore. Civitavecchia: giù. Pulmino per il porto , con un po’ di caciara: c’eravamo solo noi a bordo! Imbarco. Distribuzione cuccette, che trovammo in condizioni poco dignitose: tanta, troppa polvere! Raccomandazioni di Sauro al nostro Vice Carlino Carrara: “Ricordi il numero della cuccetta e in che parte di nave è?”. Quando sul tardi decidemmo di andare a dormire (dormire?), ci avviammo continuando a chiacchierare per sfogare la nostra residua fanciullezza e gioventù che avevamo ancora dentro, e che proprio qui e proprio ora esplosero con naturalezza e con partecipazione. E Carlino? Ancora Sauro lo pescò a giro perché l’incertezza ne aveva preso il sopravvento. Caro, dolcissimo Carlino: che avremmo fatto senza di te? Il nostro amatissimo avo.

 

Colazione, dopo una nottata tra le più agitate della nostra vita, e con tanti piccoli episodi da ricordare tra di noi. Bruno che non trova il WC e si arrangia!; e Claudio, in grave crisi respiratoria, con due sigarette accese, che rispondeva a chi lo interrogava perché: “Due sigarette? Voglio morire!”. In effetti, tra polvere e fumo, l’ossigeno scarseggiava. Attracco a Cagliari, e bus per essere trasportati in albergo. L’autista si chiamava Alfredo e, naturalmente, facemmo subito amicizia. Mèta, l’hotel Califfo, dignitoso ma con l’intoppo. Portineria. Fino alla hall, tutto era andato alla perfezione: Mauro aveva organizzato il viaggio come un orologio svizzero. Poi, per rendere più piccante il nostro breve soggiorno, spuntò questa dependance. Infatti, fummo accompagnati verso quella, attraversando vandalismi gratuiti come il campetto di calcio con i vetri sfondati e reti di recinzione divelti. Poi, un villino: sarebbe stato l’ideale, ma…

 

Ma tutto, dentro, sembrava in stato di abbandono, con ragnatele e lucertole girovaghe. Noi, incerti e stupiti, combattuti tra restare o scappare. Altra manciata di secondi, poi Gino scoppiò! Sede dell’organizzazione, l’albergo SETAR, bellissimo, con piscina, e luogo di ritiro della nazione olandese per i prossimi mondiali di calcio a Roma. Non seguii Gino, ma dei nostri che l’accompagnarono, mi riportarono la sua trasformazione in Torellik, indossando i panni del fustigatore per le ingiustizie. Non ho, quindi la versione esatta dell’accaduto, ma sembra che lui, rivolto alla segreteria dell’organizzazione, e fornendo uno spettacolo esempio del suo poliedrico essere, abbia intimidito la povera tapina (in realtà, era rivolto agli organizzatori, ovviamente), facendole presente che la nostra sistemazione era ripugnante, e che, se costretto, avrebbe “rilevato” tutto l’ambaradan nel caso in cui nona avessero fornito una soluzione confacente a ciò che meritavamo, facendole balenare la possibilità di spostarla dalla scrivania ed impiegarla nelle pulizie dei bagni (scrivo in politichese corretto).

 

Al ritorno, era già arrivato in albergo il nostro reclamo, con relativa soluzione. Ci fu proposto di aggiungere, alle nostre 4 camere matrimoniali, altri due letti ciascuna, tanto da raggiungere il numero di 16, e così fu fatto. A questo punto, s’inserì Angelino “fasciano” Todaro, che in queste situazioni gongolava: “Bene, un intoppo! E questo, chi se lo scorda? Entrerà nella nostra storia”. Nel pomeriggio si tenne, proprio al SETAR, la riunione per la formazione dei gironi e relativo calendario delle gare. Il benvenuto ci fu offerto da un signore che io non conoscevo, che ci augurò un buon torneo nel rispetto dei valori amatoriali. Quel signore si chiamava (si chiama) Claudio Ranieri, ed era, in quei tempi, allenatore del Cagliari in Serie C. Il discorso fu teoricamente bello ma, appena si scese nel concreto, il tono delle voci si alzò. Non realizzai molto bene, ma la prima discussione si accese per chiarire fino a quale categoria fosse permesso utilizzare i giocatori. Rimasi perplesso: di quale categoria vanno discutendo? Qualcosa non quadrava, ma rimasi tranquillissimo: noi volevamo solo giocare, e vivere, dopo 80 minuti, di una libertà nemmeno sognata. Eravamo amatoriali, sulla carta, ma se partecipava la Mediolanum di Milano in rappresentanza della Lombardia, ci venne più di un dubbio. Addirittura, una voce di corridoio insinuava che quella squadra avesse fatto la trasferta con l’aereo! Ma tutti noi volevamo solo goderci questa meravigliosa opportunità, forse irripetibile, dando il campo il meglio di noi stessi per dignità.

 

Verso le 19 di martedì 15 maggio, fu presentata la composizione dei 4 gironi, suddivisi, ognuno in 4 squadra: Girone 1: Genova, Lecce, Lucca e Brindisi; Girone 2: Roma, Cagliari, Cosenza e Avellino; Girone 3: Latina, Rieti, Ferrara e Aosta; Girone 4: Teramo, Milano, Venezia e Palermo. Mercoledì 16, mattina, esordio a Selargius contro Genova. Alfredo e il bus: via per il campo. Dopo una manciata di minuti, Alfredo rallenta e ci indica un campo da gioco con erbacce laterali e un fondo grigiastro. Dice: “E’ questo!”. E noi, in coro: “Nooo! Il Selargius gioca in Serie D!, non può essere questo!”. Invece, era proprio quello, per nostro sconforto. Così, scoprimmo da subito cos’era quel “grigiastro”: era “brecciolino”, pietra minuta, perfetto per le scivolate! Poi, altra sorpresa: due arbitri. Ci dissero che era un esperimento, e siccome avremmo giocato la seconda partita, ci sistemammo sulla tribunetta in cemento, sullo stile vecchio Loik di Monsummano. Figurati se Sauro non avesse approfittato di questa occasione! Così, durante il gioco, si rivolse a quello più vicino con un: “Già uno faceva casino, figurati in due!”, e il direttore di gara sorrise. Dunque, metà campo per uno, senza segnalinee.

 

La nostra gara non fu bella. Genova andò in vantaggio verso la metà del 1° tempo e, pur giocando una partita dignitosa, non riuscimmo a pareggiare. Non poteva mancare, però, una noterella di colore. Angelino, mancino puro, fu schierato terzino dx dopo il lancio della monetina con Bruno, altro mancino. Se la cavò fin quando, verso la fine della gara, contrastò fianco a fianco, l’ala avversaria. Tutto regolare finchè, poco oltre la linea di fondo, improvvisamente ambedue scomparvero! Tutto, e tutti si fermò: coperta solo da un telo tenuto su da due tavolette di compensato, c’era una buca larga e profonda circa un metro! Subentrò la paura ma, fortunatamente, tutti e due rimasero incolumi. In compenso, gran parte dei 22-24 giocatori rimasero segnati con sbucciature varie. Un altro caro, bel ricordo.

 

Una rinfrescata, e pranzo nella sala con diverse squadre. Chiasso, e richieste ad alta voce, come studenti in gita. Mancò il pane, a noi, e dopo la terza richiesta, Mauro alzò il tono con un: “Porca miseria; ora telefono al Buralli di Altopascio e me ne faccio mandare un TIR!!”. Morale altissimo, e serenità con tanta allegria che concilia con la vita. Un gruppetto di amici in vacanza in Sardegna, e dopo la partita della mattina, libera uscita: cosa pretendere di più? Giovedì 17, Alfredo, stesso campo, incontro con Lecce. La partità finì 0 a 0, con un grosso errore arbitrale a nostro sfavore. Claudio subì un netto fallo poco dentro l’area di rigore avversaria; l’arbitro arretrò il pallone sulla striscia dell’area di rigore: grave errore tecnico! Reclamammo blandamente, consolandoci con il fatto che l’altro direttore di gara ci confermasse l’evidente penalty. Finita la partita, ci ritrovammo al pullman per ritornare in albergo, parcheggiato al lato destro della strada, ai bordi di un piccolo canale di scarico; in pratica, dovevamo scendere un metro per imboccare l’entrata. Si doveva, quindi, abbassare la testa, ma Mauro non lo calcolò, e battè una bella capocciata tanto che il veicolo ebbe un fremito: le battute si sprecarono. Quasi contemporaneamente, Luciano, volendo mettere la borsa nel portabagagli, sbagliò portellone: aprì quello del vano motore, ma fu geniale: “Ehi, acqua e olio tutto a posto!”.

 

Quando rientrammo in albergo, Angelo B. ci suggerì un ristorante sul Poetto, la spiaggia della città, che lui conosceva bene: pesce a buon prezzo. Deciso: si va al “Faro”. Bus, e ci presentammo in divisa da libera uscita, con Luciano che esibiva un paio di bermuda tipo bandiera d’arrivo in Formula 1. Appena ci videro, subito pensarono: “O questi? Ci pagheranno?”. Non ci tirammo indietro; mangiammo e bevemmo bene, con piacere, con allegria, con la gioia (bellissima) di vivere e condividere con compagni ed amici, un brano di vita che la rendevano così leggera, così deliziosa, così divertente, che poi rare, rarissime volte, riproveremo. Li guardavo. Stavano bene; erano contenti, festosi, durante una bellissima, soleggiata, calda giornata di fine maggio. Ecco: avrei voluto che quegli attimi, quelle ore, non finissero mai più! Mi sembrava che questo convivio fosse il massimo che la vita potesse offrire. Che, dopo tutto questo, si sarebbe ritornati come  prima, alla normalità un po’ pallida, troppo uguale, perché qui avevamo dentro , e intorno a noi, un’aria forse mai respirata prima; un’aria indecisa tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate; un’aria complice di gioia incredibile, fanciullesca quasi, insieme ad una pace interiore unica. Di una realtà che sembrava una favola perché una squadra amatoriale era riuscita a creare un gruppo compatto, un’armonia eccezionale. E il mirto, il filo di ferro, l’asprezza e la dolcezza, i nuraghi, e il sole e il mare. Pura poesia.

 

Terza partita, venerdì 18 maggio. Il Brindisi dette forfait, così incamerammo due punti, mail torneo, per noi, era finito il giorno prima. pranzammo in albergo, ma ancora rammentavamo “Il Faro”. Che si stasera? Ci ritorniamo per chiudere in bellezza questa vacanza memorabile? Sì, e ci riconobbero, e ci accolsero come vecchi amici. Fu un’abbuffata di pesce in tutte le salse, soprattutto fritto, con l’aragosta, e portate che quasi non finivano mai. Eravamo in forma smagliante. Alla fine, credo che avanzasse ben poco. Pagammo, e ci salutammo con un sincero “Ci rivediamo”, anche se una punta d’amarezza ci diceva che sarebbe stato impossibile ricreare tutto quello che, spontaneamente, avevamo fatto. Alcuni anni dopo, fu Angelo che, ancora in contatto con l’albergo, ci disse che “Il Faro” era stato chiuso, forse per aggiornamenti sanitari-tecnici. Tutto passa, e tutto va.

 

E il campionato/torneo? Ah, già: il torneo. Gli accoppiamenti per semifinali furono: Milano-Cagliari, decisa ai rigori per 24 a 23 !!!; e anche Lecce-Latina per 4 a 3. A ripensarci, se ci fosse stato concesso quel rigore proprio contro Lecce, e se lo avessimo trasformato … La finalissima fu così Milano-Lecce, che finì 2-0 per i meneghini, ancora ai rigori! Ormai, eravamo in fase di partenza. Venerdì 18 maggio, alle 18,00, rimontammo sul traghetto, e sabato 19, alle 13 e 45, scendemmo a Pescia. Erano passati sei giorni, ed eravamo un po’ stanchi, abbronzati, confusi e increduli che un’esperienza di questo genere potesse rimanerci dentro per anni. Ora, siamo tutti convinti che ci accompagnerà fino in fondo. La prima metà degli anni ’90 ci detto soddisfazioni impensate; vittoriosi per altre 4 volte in campionato, partecipammo ancora a 3 finali nazionali in giro per l’Italia: Giulianova, Iesolo e Riccione. Nella stagione 1995/1996, al termine di un campionato tiratissimo che ci vide ancora vincenti, ci fu il nostro canto del cigno: era il giugno ’96, il campo quello di Veneri. L’istinto mi diceva che era proprio finita perché l’età, il lavoro, la famiglia, gli acciacchi, tutto ci suggeriva di farla finita col calcio giocato. Poi, non so perché, la squadra si trascinò per altri 4 anni, cadendo sempre più in basso perché, irrimediabilmente, il nostro tempo era scaduto. Il 16 aprile 2000 chiusi definitivamente (credevo) con i Blue Boys, alla mia maniera, sbattendo la porta.

 

Ma la fiamma non si era spenta. Fu la scomparsa del nostro amatissimo Presidente Carlino Carrara che riunì, il 29 luglio 2014, un gruppetto di vecchi B. B. sul sagrato di S. Maria in Selva a Borgo a Buggiano per onorarlo. E fu ancora Sauro che disse: “Si telefona a tutti i vecchi; poi, se siamo in 5, o 4, o 3, va benissimo lo stesso. Aveva perfettamente ragione. Ormai, il nostro concerto era finito, ma ancora qualcosa di forte ci legava, mentre lo specchio, impietoso, rimandava la brutta copia di come eravamo stati. Fu così che ricominciammo da dove ci eravamo fermati: da una trattoria, un ristorantino, mangiando e bevendo con moderazione perché quando compaiono certi tricicli, sei costretto a cambiare “bicicletta”, o dieta. Quando il ginocchio fa le bizze e ti chiedi – ingenuamente – perché; quando la schiena t’impedisce d’infilarti i calzettoni, ti viene in mente il passato quando il fisico rispondeva “presente!”.

 

Ricominciammo a chiacchierare di tutto e di nulla; a scambiarci “un sacco di idee sbagliate”; di ripetere, per riviverli, brani di un passato calcistico simili a mille altri; di lasciarsi, sicuri però che , prima o poi, ci ritroveremo. Infatti, il pallone ci ha permesso, per 15 e più anni, di raggiungere risultati importanti, creando un’amicizia fortissima in campo e, soprattutto, fuori. Proprio per questo, la nostra storia la definisco epopea perché siamo riusciti a rimanere insieme senza fatica, con l’entusiasmo iniziale che ci ha accompagnato fin qui, al crepuscolo. E se ci fosse mancato qualcosa, ci siamo preoccupati di far entrare nel nostro caravanserraglio, oltre al doc Giovanni, anche Franco il “vetrinaio”. E’ questo il momento, alla fine delle cene che, spontaneamente, all’improvviso, uno di noi tira fuori il classico: “Ma vi ricordate di quando …?”, e tutti, proprio tutti, intervengono, quasi contemporaneamente, a commentare, ad arricchire quell’episodio.

 

Si apre, pericolosamente, un vuoto dentro. Ancora, noi lo ricordiamo, e sfogliamo quanto successo in quei lontani anni. Ognuno ha i suoi personali ricordi perché un pellegrinaggio non può essere individuale, ma quello di Cagliari ha lasciato un solco dentro di noi, e i semi che vi abbiamo gettato hanno fatto nascere, e crescere, ricordanze indelebili che riscaldano i nostri cuori un po’ stanchi. E se organizzassimo un pellegrinaggio? Un pensiero gettato lì, con leggerezza. Eh, sarebbe bello … Che so, ritrovarci alla stazione di Pescia, salutare Mauro, e ripartire per Kàralis: che ne dite? Sì, pellegrinare: è l’età giusta, amici.