La Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione, che cade l’8 settembre, è stata istituita dall’UNESCO nel 1967, per sottolineare l’importanza dell’istruzione per tutti i Paesi e le culture. L’alfabetizzazione non è soltanto un diritto fondamentale di tutti gli uomini, ma è anche uno strumento indispensabile per sradicare la povertà e per determinare il progresso sociale e umano, dal momento che può consentire a chi è nato in condizioni di disagio socioeconomico di uscire da uno stato di vulnerabilità ai soprusi, trovare un lavoro, percepire un reddito.

Il tema di quest’anno si è legato alla contingenza della pandemia da Covid-19: la riduzione del digital divide, o divario digitale. Le chiusure scolastiche hanno riguardato nel mondo oltre 1,6 miliardi di studenti, amplificando le diseguaglianze nell’accesso a Internet e riducendo le opportunità e la qualità della loro formazione, specie nei paesi più poveri o in quelli carenti di infrastrutture tecnologiche o in cui persino la fornitura di elettricità costituisce un problema. Chi proviene dalla classe media o alta, o chi vive nei paesi sviluppati, in sostanza, ha continuato a studiare; gli altri spesso non hanno potuto.

Secondo un report pubblicato recentemente da Save the Children, l’organizzazione non governativa che opera in 125 paesi del mondo a sostegno e tutela dei diritti dei minori, la possibilità di frequentare la scuola rimane una prerogativa maschile: nei prossimi anni 3 milioni di bambini e 9 milioni di bambine non riusciranno ad accedere al sistema dell’istruzione. La pandemia ha peggiorato le cose, perché ha costretto molti bambini o adolescenti a abbandonare la scuola per cercare lavoro e poter aiutare le proprie famiglie in situazione di indigenza. Si stima che tra i 10 e i 16 milioni di bambini rischiano di non tornare mai più in classe, perché costretti a lavorare o a contrarre matrimoni precoci.

Questo secondo aspetto riguarda in particolar modo le figlie femmine, che sposandosi perfino a 12, 14 anni rinunciano alla propria emancipazione economica e sono spesso vittime di abusi che restano sommersi, ovvero sconosciuti alle autorità. L’istruzione appare l’unica via di fuga per queste spose bambine condannate a una vita di infelicità: un numero impressionante, secondo le stime ufficiali, che tuttavia sono legate alla disponibilità dei dati anagrafici, non sempre garantita: si parla di 15 milioni di ragazze che ogni anno, nel mondo, contraggono un matrimonio prima di aver compiuto la maggiore età, quasi sempre per volere delle loro famiglie, spesso senza aver mai visto prima il ragazzo che sono costrette a sposare. La pandemia, aggravando la precarietà socioeconomica e il clima di insicurezza in cui molte famiglie nel mondo vivono, ha fatto aumentare dunque anche il fenomeno dei matrimoni precoci, non soltanto dell’abbandono scolastico.

La via da percorrere appare proprio la scuola. Investire nell’alfabetizzazione soprattutto nelle aree depresse e nelle zone in via di sviluppo, attraverso uno sforzo che sia condiviso e collettivo. La sensazione, tuttavia. è che sia una chimera, un obiettivo da sbandierare soltanto in campagna elettorale ma in cui non si è disposti a investire le risorse necessarie.