Cercare il capo dei ricordi ha una data abbastanza precisa. Quando la tua età declina verso est, verso il tramonto; quando affanni e preoccupazioni allentano la morsa; quando i movimenti cominciano a rallentare così come l’e­splosiva gioia di vivere giovanile; ecco, quando ti rendi conto di tutto ciò, quello è il momento in cui ti scopri, più o meno improvvisamente, a ripensare ad ieri.

 

I ricordi sono il piccolo tesoro di sentimenti ed affetti che hai messo da parte anno dopo anno. Episodi im­portanti, altri meno; volti ancora ben delineati, mentre alcuni stanno già sfumando; oggetti, fotografie, messi da parte e che ora ti richiamano, ti commuovono. Difficile credere di poter riavvolgere quel filo in modo ordinato e temporale. Questo può succedere in un romanzo, ma sappiamo che la vita, la nostra, di romanzesco ha avuto ben poco.

 

Magari, un avvenimento che ha un po’ sconvolto la quotidiana routine può essere rimasto impresso nella memoria; per il resto, gli accadimenti di sempre, quelli dell’infanzia, della gioventù, della maturità di gente semplicemente umana. Cercare di dare loro una collocazione annuale è im­pegno forte; sei aiutato dalle date scritte sulle carto­line, nei nastri o nei CD, magari in una lettera prima ancora che il telefono ed il computer la relegassero in soffitta. Più evidente è il fatto che, pur avendo ora tanto tempo libero, non si possa programmare giorno per giorno quello che vuoi ricordare: lunedì, questo …; martedì, que­st’altro … Impossibile, e sciocco.

 

Io credo che, in questa nostra attuale situazione, nuova come tutte le altre passate, scatti dentro una mol­la, magari un po’ arrugginita, tanto che la semplice vi­sta di un oggetto qualsiasi ne metta in moto il lavorìo della memoria. In più, sempre per me, ci sono stagioni e stagioni, inutile negarlo; l’estate fa troppo caldo per sprecare energie intellettive: meglio meriggiare; in primavera e in autunno, se gradevoli, ti lasci trasportare. Rimane l’inverno e qui, in questo periodo, faccio il pieno. D’altra parte, non è solo il brutto tempo che può favorire la malinconia; ci sono paesaggi, tramonti estivi al mare che trasmettono sensazioni antiche. C’è la predisposizione, ovviamente; e anche essere circondato dagli oggetti che hai accumulato durante la tua traversata, e che sempre più spesso vai a sfiorare, per mantenere un contatto fisico su ciò che più non è.

 

Domani, saranno guardate come “le buone cose di pes­simo gusto“, un crepuscolarismo che non ha più nazionali­tà già da ora, figuriamoci dopodomani. Però, c’è un filo che lega tutto; un filo che parte da lontano: a volte è spesso, forte; altre, fino, fragi­le, quasi invisibile. Ciò che mi danno fotografie e piccoli oggetti, non ritrovo nei video, quando tutto si muove e rivedi per­sone in carne ed ossa. Le foto, i souvenirs, invece, sono fermi, fissi, con il piccolo velo di polvere che vi si posa quotidianamente. E’ un attimo: un episodio, un regalo ti spingono a sfor­zarti di ritrovare lo sviluppo di ciò che rappresentano. Il prima, il durante e, soprattutto, il dopo perche, qua­si tutto ciò che ti circonda, recita ormai una poesia re­mota. Il dopo. Tutto, a questo punto, è dopo pur se, per autodifesa, si conserva ciò che ha lasciato un segno felice, caldo, di ciò che è stato.

 

E’ un istinto primordiale, ovviamente: scartare il male e tenere il bene. Spesso ci si dimentica la nostra precipua natura: siamo deboli, insicuri. Siamo umani. Tanta rabbia; diversi “peccati”; un disordinato rispetto dei doveri. Nonostante questo, quasi tutto ciò che ab­biamo visto, toccato, lo mettiamo da parte, come facevano i nostri avi, non nobili, per cui un chiodo arrugginito avrebbe potuto essere utile una seconda volta. Tutto scorre, tutto va. Giornate un po’ vuote, con impegni non stimolanti, lasciano lo spazio ad ieri, nell’affettuosa, consolante rimembranza di ciò che eri, con chi, dove. Domani …

 

Raccoglievi in una scatola di scarpe tutto ciò che entrava a far parte del tuo mondo. Lo mettevi lì, senza sapere potessero arrivare tempi in cui avresti ricercato quei momenti che consideravi -ieri- pane quotidiano e, invece, sono diventate perle della tua vita. E se la raccolta non è stata molto ordinata, date e nomi si accavallano, e le sorprese e i tuffi al cuore ti colgono impreparato. Forse, io amplifico una banale ricerca che tanti fanno, in certi momenti dell’esistenza. Ma, tra i pochi ricordi giovanili di Collodi, ho ancora quello della palazzina della Filanda, dove oggi c’è la sede della Fondazione.

 

Tutto era in abbandono, decadente; ma, nel giardino antistante, tra i calcinacci, macchietti di fotografie in bianco e nero (color seppia) scritte con una, o più, cal­ligrafie bellissime. Non erano di operaie; sicuramente, dei proprietari o di chi dirigeva la fabbrica. Non ebbi il coraggio di rac­coglierne qualcuna (e me ne pento) perché mi sembrò di ficcare il naso nelle vite altrui. Lessi qualcosa, sul retro di alcune, e niente più.  Un episodio che mi è rimasto dentro, e che allora mi dette fastidio. Poi, il tempo passa, e quello, saltuaria­mente, mi ritornava in mente. Oggi, mi fa male; mi fa male pensare che l’intreccio di più vite attraverso semplici fotografie, cartoline, sia stato ridotto così, buttato via con i calcinacci dell’edificio, come si fa con i rifiuti. Brani di corrispondenze che si scambiavano saluti, emozioni, novità: distrutti.

 

Non m’illudo: succederà anche a me. Già ora, alcune foto dei parenti ed amici dei miei genitori non mi dicono niente: persone sconosciute, sorridenti; parole felici che non mi trasmettono quella gioia.  Allora, quali sono i percorsi dei ricordi? Diffici­le darne un’esatta descrizione: rettilinei e curve sono incomprensibili perché tutto comincia in un attimo. Posso solo dire che, quando provi quel sommovimento interiore, che crea un intimo, tenero cocktail, mettiti comodo, e la sciati andare.

Franco Corsetti