Penso alla grande siccità di quest’estate ormai trascorsa, alla campagna arsa dal sole, al pericolo di incendi, all’erba gialla color della terra, rasa al suolo, privata dei suoi frutti, assetata e segnata da crepe profonde, come le rughe tristi di un viso, inutilmente bagnate dalle lacrime, o come le ferite di un cuore spezzato, che non riceve più carezze, divenuto ormai impermeabile all’amore…

Penso alla grande siccità anche dell’anima dunque, alla siccità nella terra ed all’indifferenza, ai solchi nel terreno, agli alberi sofferenti ed alla durezza nel cuore, all’aridità nei sentimenti, all’impegno che taluni mettono nel riuscire a non far trasudare all’esterno i propri buoni intenti, a trascorrere una vita senza né desideri né rimpianti, anzi, ancor meglio, è più corretto ragionare di nessuna esternazione e parvenza di vita, di uomini e di donne calati in una dimensione onirica ma mai sognante.

Ci si potrebbe talora autoconvincere che per sopravvivere forse è più intelligente ritirarsi in se stessi, chiudersi a riccio, coltivare un’inusitata indifferenza che faccia da schermo a questa dilagante siccità che ormai ha preso il sopravvento. Chiudere col mondo insomma.

E la colpa, invece che a noi stessi, si potrebbe dare facilmente ai mutamenti climatici, al cambio di vento e di orientamento, a come gira la bandiera, trovandoci improvvisamente oggi di fronte a continue necessità di adattamento al nuovo, all’inaspettato, tutte situazioni ed oggettive circostanze che ci impongono di inaridirci esonerandoci dalle responsabilità vere, dalle responsabilità per come siamo diventati o stiamo diventando o, se vogliamo esagerare, ci impegniamo con tutte le forze a voler diventare, seppur forzando la mano.

Siccità ed aridità del cuore dunque per difenderci, per soffrire meno o per illuderci di non patire, siccità come giustificazione legittima e mezzo per scrollare le spalle ed i pesi di dosso con agilità e freddezza, evitare le scosse ed i patemi d’animo, appiattirsi e galleggiare, liberarsi dalle mille zavorre che internamente ci affliggono…in sostanza, smettere di essere umani, non aspettare più le piogge autunnali, anzi, scacciarle malamente, rinunciare a sperare in qualche rimedio, convincersi che non ci sono cure alle ferite e che la siccità tanto ormai imperverserà, continuando a solcare la terra ed a portare distruzione.

Ma vale quell’antico proverbio che in cielo non c’è mai rimasto niente, che quando è il momento di piovere piove e che quando è tempo di far freddo il freddo arriverà pungente.

La pioggia più o meno attesa tornerà dunque a bagnarci, a scivolare sul nostro corpo inerme di fronte all’incedere dei tempi e delle stagioni; torneranno dunque le piogge a risanare le crepe del nostro cuore, questa è una certezza ed una vera verità, ne sono convinta.

Ma dopo così tanta siccità saremo preparati a ritornare umani?