Tullio De Piscopo è un grande artista. Lo dimostrano chiaramente la sua vasta produzione artistica, i social che ne parlano ampiamente, la collaborazione con tanti nomi illustri del panorama musicale nazionale e internazionale, i tanti premi ricevuti nel corso della sua carriera ultra cinquantennale, ma, soprattutto, la sua straordinaria abilità nel suonare la batteria. Infatti, è ritenuto tra i più eccezionali batteristi al mondo.

D. De Piscopo, lei è considerato tra i più affermati batteristi a livello mondiale. Come è possibile imparare e familiarizzare con questo strumento considerato tra i più non facili?
R. «La batteria è uno strumento che devi avere dentro. Molte volte certi batteristi sono nati con lo strumento dentro e con le bacchette in mano. Alcuni sono figli d’arte che hanno avuto, per esempio, genitori che suonavano. Però, la batteria la devi sentire e non puoi abbandonarla e poi riprenderla. Deve essere un amore continuo per tutta la vita. Solo così si riesce ad ottenere delle cose, facendo anche dei sacrifici; ma, soprattutto, è importante avere un insegnante che ti può fornire dei consigli importanti».

D. Molti critici definiscono la sua musica innovativa. Può parlarcene?
R.
«Sono stato sempre troppo avanti rispetto a quello che accadeva. Ho sempre fatto nuove ricerche e investito nella musica apprendendo e studiando musicisti vari, ma soprattutto ho cercato di stare con i giovani. Infatti, nei miei gruppi ho sempre avuto dei giovani». 

D. Nella sua musica riesce a coniugare magistralmente Jazz blus pop e musica classica, come lo spiega?
R.
«È musica totale. E’ musica nella sua totalità. Non riesco a stare senza suonare e, quindi, suono qualsiasi genere di musica. Anche i brani che possono sembrare facilissimi occorre suonarli con sentimento, cuore e feeling». 

D. Numerose sono le collaborazioni che ha avuto e che ha con grandi artisti a livello mondiale. Quale significato occupano nella sua vita di uomo e di artista?
R. «E’ molto importante soprattutto per la preparazione in studio. Penso a Pino Daniele, al grande Astor Piazzolla, con il quale ho fatto dieci long playing e il brano “Libertango” suonato in tutti i teatri del mondo. Nel tango non c’è la batteria. La batteria vi è giunta quando abbiamo compiuto “Libertango”.  Con Astor Piazzolla ho realizzato anche tournée in tutta Europa. A Franco Battiato, con il quale ho avuto collaborazioni importantissime come nell’album “L’era del cinghiale bianco”. Questo album è stato il lavoro che ha dato il “la” a tutta la musica che si è sviluppata dal 1979 in avanti. Poi ho collaborato con Fabrizio De André con l’ lp “Rimini”…». 

D. Ha tenuto concerti in numerose parti del mondo e non ha dimenticato mai la sua Napoli dove è nato e dove ha assimilato le sue fondamenta musicali, vero?
R.«Si è vero. Quando uscirono i primi registratori a cassetta vivevo a Milano e una sera mi registrai mentre suonavo. Non era male, però copiavo i batteristi oltre oceano. Quindi, mi chiesi cosa potevo fare per trovare una mia personalità musicale. Pensai a Napoli alla mia città, alle mie origini. A Napoli e ai suoi rumori, umori, sorrisi e ai cinque colpi (che richiamano alla dominazione francese; quando si sentivano questi colpi, uno, due, tre, quattro, cinque, significava che i militari portavano al patibolo in piazza Mercato qualcuno del popolo). Questi cinque colpi i napoletani li hanno trasformati una tarantella per prendere in giro in francesi. Pure io, con questi cinque colpi ho cercato di trovare la mia personalità sulle pelli della mia batteria».

D. La canzone “Andamento lento” è stata una delle canzoni che ha confermato il suo indiscutibile talento artistico. Come è nata e come giunse al Festival di Sanremo nel 1988?
R. «Incontrai il patron del Festival di Sanremo di quel tempo, il grandissimo Marco Ravera, persona straordinaria. Lo incontrai e mi disse: “Perche’ non vieni a Sanremo?” Gli risposi: “Marco, ti sembro un artista da Sanremo?” E lui riprese: “Devi fare quello che sai fare tu con la tua musica”. E così ne parlai con il mio produttore e trovammo i fratelli Capuano che avevano tanti brani, tra i quali una marcetta che poi trasformammo in “Andamento lento” e andammo così a San Remo. Ma nessuno credeva in questo brano. Invece, subito dopo la prima esecuzione, è stato già un successo».

D. Poi lei ha partecipato ai Festival di Sanremo del 1989 e del 1993. Però con la kermesse sanremese aveva già un rapporto precedente sin dal 1980, vero?
R. «Sì è vero. Quando Toto Cutugno partecipò per la prima volta al Festival di Sanremo nel 1980 e lo vinse con la canzone “Solo noi” lo accompagnai con la batteria. Fu l’unica volta che Toto vinse il Festival perché è sempre arrivato secondo…».

D. Lei costituisce un esempio per i concerti di beneficenza a cui ha partecipato e che ha organizzato. Cosa ci dice in merito?
R.
«Ma guarda Carlo, là dove c’è bisogno e dove le associazioni, le fondazioni o gli enti organizzativi sono credibili, do anima e corpo. E’ importante che la musica possa fare qualcosa per chi veramente ne ha bisogno. Noi artisti possiamo fare tanto per gli altri soprattutto per i più deboli e per gli ammalati».