Ciao, Michele,

sei morto in una mattina di novembre. Non so se avrai tempo di leggere questa lettera scritta in fretta e furia. Adesso sono in Val di Luce a I Pionieri fino al due aprile. La mattina seguente sarò di nuovo al Maestoso. Non so con quale animo mi farò il caffè poco prima che arrivi Pietro. Anno scorso arrivava presto e già mi urlava dietro perché mi trovava a bere il caffè doppio che te mi preparavi strizzandomi l’occhio. Ed io ti guardavo mentre facevi il caffè. Avevi un modo tutto tuo. Con quella camicia bianca che più bianca non si può, che sembrava tolta da una pubblicità dell’Ace.
Io mi ricordo tutto, tutto. 

È passato un bel mucchietto di mesi da quando te ne sei andato tutto sudato in quella camera a Montecatini. Ricordo perfettamente quella mattina, poche ore dopo che hai voluto lasciarci qui da soli a piangerti. Io stavo leggendo su in soffitta il solito vecchio Hemingway. Non credo fossero nemmeno le nove di mattina. Suona il cellulare. Pietro. “Oh mamma”, dico io, “che vuole di mattinata Pietro?”. “È morto Michele”, mi fa Pietro. Io non ho pensato un solo secondo che non fosse vero. 

Pietro è il migliore di tutti, ma quasi sempre tende ad esagerare le cose. Se vede una coppia mano nella mano, automaticamente la ragazza deve necessariamente essere già in avanzato stato di gravidanza oppure fa un lavoro notturno nei pressi dei lampioni. Sto attenuando le parole e so che da lassù te stai facendo l’occhiolino perché sai benissimo che non sono queste le parole che usa Pietro. 

Lui sta bene. È sempre a lamentarsi, ma credo che in fondo sia contento perché noi siamo uniti che si sembra il collegio cardinalizio. Dico della Dora, della Stella e di Federico. La Stella però non c’è più e credo che tuttora stia inseguendo il gatto nero enorme che te vedevi. Lo so che a te non garberebbe, ma ti sto scrivendo questa lettera piangendo, perché noi ti rammentiamo ogni giorno, ogni momento della giornata. 

Vedo la Tigra ogni mattina e subito mi vieni in mente con i tuoi commenti che qui non posso scrivere. Oppure la Simona. 

Non che tu fossi un gran lavoratore, questo posso dirtelo, ma tanto ormai è lo stesso. Te rimarrai sempre Michele, il portiere morto del Maestoso. “Quello morto”, infatti, si diceva e si dice quando ti si rammenta, ed era ed è la verità. Tanto prima o poi ti si verrà a trovare e ci farai il caffè come solo te sapevi fare, con la schiuma sopra che ci galleggiava un cucchiaino. 

Te avevi la presenza, le cravatte sempre tono su tono sul vestito e le camicie meglio stirate di Montecatini ed eri un signore, un vero signore, questo lo dice sempre anche la signora Anna. Che ti saluta. Tutti noi ti abbiamo voluto bene. 

Giù vicino al tuo armadietto c’è sempre la foto di te con Federico accanto a quella di papa Francesco. Io ogni volta che entro in quella stanzina dove sicuramente c’è passato anche Miu e famiglia ti guardo e penso a quanto ci e mi manchi.

Dovevi esserci quando con la Dora e la Stella siamo venuti a trovarti al cimitero. Eravamo usciti tardi nel pomeriggio. C’era il gruppo della Lena e c’era pure quella professoressa che a te piaceva molto. Credo insegni Matematica ed è davvero una gran bella donna. È venuta anche anno scorso ed è sempre più affascinante. Mi ha chiesto dove eri ed io le ho detto che eri morto di infarto e le ho servito la carbonara insieme con le mie lacrime. Dietro di me c’era la Stella, che subito ha posato il piatto sul carrello ed è corsa ad abbracciarmi perché piangevo che parevo la fontana in Piazza del Popolo. Anche la Dora era in sala a portare i piatti sotto il quadro di quella bella ragazza ed aveva certe lacrime che parevano i sassi della Pescia. 

Ad un tratto la Lena ha detto in tedesco che te non c’eri più e tutti i cento e passa ragazzi si sono alzati ed hanno applaudito così forte che anche il Biondi ha telefonato a Pietro chiedendo cosa stesse succedendo al Maestoso.

Questo per dirti che persona eri. 

Ma ti dicevo di quando siamo venuti a trovarti al cimitero. Io ti avevo portato un bicchiere di quelli del bar che la Dora trova per la via quando viene in albergo, mentre la Stella ti aveva preso un conchino di ciclamini, nemmeno due euro, credo, all’Eurospin di Monsummano. Conta il pensiero. Lo dicevi sempre anche te. 

Appena ti abbiamo pensato lì, sotto terra, in compagnia dei bachi, con sopra quel mucchietto triste di terra io ho cominciato a dire che eri un gran lavoratore, che come facevi te il caffè nessun altro mai, che eri un signore, eccetera, eccetera. La Dora continuava a dire “poveracc” e ad un tratto con la Stella ci siamo messi a ridere che si sembrava ad un festino su in soffitta. Abbiam riso come matti e quelle pie vedove che in ginocchio stavano a sistemare i fiori dei loro poveri mariti ci guardavano scioccate. Insomma, siamo usciti dal cimitero ridendo come pazzi e la Dora che era parecchio emozionata.

Questo per dirti che ci manchi e che nessuno sarà mai come te.

Ti voglio e ti vorrò sempre bene, caro il mio Michele…

Tuo Fabrizio (il cameriere scrittore di Pietros, come dice la Dora).