Abbiamo avvicinato Memo Remigi, noto cantante, compositore e conduttore. Non solo musicista raffinato e autore di canzoni memorabili, ma spesse volte anche protagonista del piccolo schermo in numerosi programmi storici.
Nelle parole di questo artista, che vanta una carriera ultra sessantennale, traspare un messaggio inequivocabile: l’amore alla vita e a tutto ciò che la caratterizza. Un esempio per tutti.

D. Memo, il tuo libro autobiografico reca il titolo “Sapessi come è strano”. Cosa rivelano profondamente queste parole?
R. «Sapessi come è strano è l’incipit della mia canzone “Innamorati a Milano”. Perché la mia canzone inizia proprio “sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano”. Per cui il titolo del libro riprende questa frase, che è quella della mia canzone, diciamo, più conosciuta, in quanto io Memo Remigi sono conosciuto come quello di “innamorarsi a Milano”. È la mia canzone ed è anche il mio biglietto da visita. Intitolando il libro “Sapessi come è strano” ho voluto dire due significati: uno facendo riferimento alla mia canzone molto nota; due sapessi come è strano raccontare tutti quegli episodi che ho raccolto nel libro e che fanno parte della mia infanzia e della mia vita. Sono ricordi talmente remoti che mi sono stupito anche io di ricordarli. Magari non ci ricordiamo quello che abbiamo fatto due giorni prima, ma a me capita di ricordare cose e immagini molto chiare di quando avevo quattro, cinque, sei anni. Il libro è tutto un racconto di aneddoti legati alla mia vita passata e anche ovviamente presente».

D. La musica ti accompagna sin dagli anni giovanili ed è sempre stato il tuo lavoro. Quali soddisfazioni ti ha garantito particolarmente?
R. «A parte il fatto che non ho mai considerato la musica un lavoro, ma un dono. Un talento che mi è stato dato e tramandato dai miei genitori. Mio padre suonava il pianoforte e io la fisarmonica. Facevamo dei concertini quando io ero ragazzino: la domenica mia madre cantava, mio padre suonava il pianoforte e io la fisarmonica. Per cui il fatto che la musica sia stata sempre il motivo conduttore della mia vita è dovuto al cammino che ho seguito sin da bambino. Mi ha dato soddisfazione perché è diventata la ragione della mia vita».

D. Nel 1964 giungesti al successo con “Innamorati a Milano”. Come nacque questa bella canzone?
R. «Come ho raccontato più volte, è nata quando io abitavo a Como e la mia fidanzata, che poi è diventata mia moglie, abitava a Milano. Quando la volevo incontrare – allora non c’erano i telefonini, le video chiamate – lei mi dava gli appuntamenti a Milano e diceva: “Ci vediamo in galleria”. Allora io partivo da Como con il treno e arrivavo a Milano, percorrevo la via Datteri e giungevo in galleria del Corso; c’erano sempre duemila persone e per me era molto difficile incontrarla. Per cui è nata la canzone “sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano”, in una città così stereotipata, caotica, mentre io vivevo in una cittadina di provincia come Come, dove ci si conosceva un po’ tutti. Milano era la metropoli. Anche dal punto di vista sentimentale era molto complicato pensare che potesse essere una città romantica. Era una città che pensava solamente al lavoro, al movimento, al caos; e poi c’erano le famose nebbie, che oggi non ci sono più. Insomma era tutto un altro mondo. Per cui mi pareva strano sentirmi innamorato a Milano».

D. Al tuo pentagramma appartiene anche la canzone “Io ti darò di più” interpretata da Orietta Berti e Ornella Vanoni. Ritieni che questa canzone abbia confermato il tuo talento artistico?
R. «Beh questa, e nello stesso anno anche la canzone “La notte dell’addio”. Era una canzone che aveva partecipato al Festival di Sanremo nel 1966. In quell’edizione avevo come autore due canzoni: “Io ti darò di più”, cantata come hai detto tu da Orietta Berti e da Ornella Vanoni, e “La notte dell’addio” che è stata la canzone con la quale Iva Zanicchi ha partecipato per la prima volta al Festival di Sanremo e che cantò in coppia con un cantante americano, Vic Dana. Questo ragazzo statunitense la portò in America e la tradusse in inglese col titolo “The night you said goodbye” ottenendo un grande successo. Qui in Italia un po’ meno. Però fu una canzone di grande prestigio ed è stata anche ricordata in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, quando fu selezionata tra le dodici canzoni più rappresentative in una serata del Festival di Sanremo nel 2011. Per l’occasione fu arrangiata da Franco Battiato e cantata da Luca Madonia».

D. Hai parlato del Festival di Sanremo, cosa pensi di questa manifestazione che quest’anno è giunta alla sua 74 edizione?
R. «È una grande manifestazione. Tornando indietro negli anni, le canzoni di allora si ascoltano e si cantano ancora oggi: questo era il Festival di Sanremo, il Festival della canzone italiana. Poi, con il passare degli anni, è diventato più un grande spettacolo, un grande circo e meno Festival della canzone. Le canzoni hanno uno spazio di due, tre minuti, mentre tutto il resto, fino alle ore 2 di notte è tutto spettacolo, gossip, personaggi, ospiti e canzoni poche. A mio avviso bisognerebbe ritornare a valorizzare molto di più le canzoni e meno lo spettacolo».

D. A cosa dobbiamo questo cambiamento?
R. «È un cambiamento dovuto anche alle mode. Evidentemente oggi si punta molto sulla quantità e poco sulla qualità. Anche tanti programmi televisivi odierni scontano un certo pressappochismo nelle loro intenzioni e infatti non si fanno le prove. Io provengo da una televisione in bianco e nero e per i programmi televisivi facevamo prove tutta la settimana. Ho fatto un “Fantastico 2” nel 1981/1982 con Walter Chiari, Heather Parisi, Romina Power, Gigi Sabani e Claudio Cecchetto e per fare questo programma le prove cominciavano il lunedì e proseguivano per l’intera settimana. Sabato pomeriggio facevamo la prova generale e il sabato sera andavamo in onda. Negli spettacoli di oggi si vede che non c’è preparazione, non ci sono idee, si copiano l’uno con l’altro, stanno a guardare gli ascolti quello ha fatto di più e quello ha fatto di meno… Partono con programmi e poi magari li chiudono perché non vengono seguiti dal pubblico. Per forza! Proviamo a fare programmi di qualità e con grandi professionisti: vedremo che funzionano»

D. Con quale professionista televisivo hai lavorato meglio?
R. «Quelli che sono durati nel tempo. I grandi conduttori, presentatori, i grandi musicisti, quelli che hanno lasciato una impronta importante. Carlo non posso fare il nome di tutti, ma sono quei personaggi che hanno portato avanti dei periodi storici, come Pippo Baudo, Corrado, Mike Bongiorno, Lelio Luttazzi, Enrico Simonetti… Erano tempi diversi. Erano tempi dove lo spettacolo era spettacolo proprio nel vero senso della parola». 

D. Qual è il segreto della conferma costante della tua celebrità artistica e televisiva?
R. «Non sono mai stato troppo invadente nelle mie cose. Ho sempre cercato di mantenere una personalità propria, che mi è naturale. Sono nato in questo modo e mi reputano tutti una persona per bene, educata e sincera. Ho fatto delle belle canzoni, dei bei programmi che sono andati tutti molto bene. Non ho mai avuto inconvenienti, se non recentemente, quando c’è stato quel brutto episodio nel quale mi hanno coinvolto ingiustamente, mi hanno massacrato senza una vera ragione, perchè i fatti sono stati esasperati dal gossip e dai media. Invece la verità era tutt’altra. Però lì evidentemente c’era una persona con la quale forse io non potevo più andare avanti e non potevo più averci un certo accordo professionale. Allora si è colpito laddove non si doveva colpire. Però adesso finalmente sono rientrato in RAI, mi hanno richiamato e si sono resi conto che quello che mi hanno fatto è stata una grande ingiustizia. Adesso sto facendo un programma “BellaMà” con Pierluigi Diaco tutti i mercoledì, poi farò “I migliori anni” e poi “Domenica in” con Mara Venier. Insomma sono rientrato alla grande e sto recuperando la mia immagine che con uno squallido tentativo hanno cercato di offuscare».
                                                                                                                                   
D. Memo, gli anni corrono. Come riesci a mantenerti ancora giovane e ottimista?
R. «Carlo ti confesso che mia moglie purtroppo era per me un grande punto di riferimento. Una donna importante nella mia vita. Quando è venuta a mancare due anni fa, mi sono chiesto ad un certo punto cosa potessi e dovessi fare della mia vita. Mia moglie per me era una donna veramente indispensabile in tutti i sensi. Mi sono ritrovato di fronte ad una decisione importante: o mi fermo e sto qui e mi siedo sperando di raggiungerla al più presto, oppure devo reagire; lei cosa avrebbe voluto che io facessi? Quando stava malissimo e stava per andare lei mi diceva: “Cerca di andare avanti e cerca di reagire, di affrontare la vita perché ti potrà dare ancora tante bellissime cose”. Per me è stato un grande incentivo. Nello stesso periodo in cui lei se ne è andata improvvisamente è successo un risveglio anche professionale. Mi hanno chiamato a fare quel programma televisivo, “Oggi è un altro giorno”, condotto da Serena Bortone, che ho portato avanti per due anni. Nello stesso tempo mi hanno fatto fare “Propaganda live”, dove ho incontrato un mondo di giovani e sono diventato uno di loro. Contemporaneamente Milly Carlucci mi disse: “Tu devi essere il porta bandiere dei tuoi coetanei e dimostrare che sei ancora in grado di sgambettare”. E mi ha invitato a partecipare a “Ballando con le stelle”. Poi ho fatto un altro programma “Nudi per la vita”. C’è stata una esplosione di richieste di programmi televisivi, che mi hanno dato non una seconda giovinezza ma una terza giovinezza. Secondo me è questa la carica che ti consente di andare avanti e vuol dire che la gente ha ancora voglia di te, di vederti e di abbracciarti. Fin quando, diciamo, come carrozzeria e come motore reggo ancora vado avanti. Il giorno che vedrò che i tagliandi non sono sufficienti mi ritirerò in un bel box e non mi farò più vedere da nessuno».