Quando eravamo malati, da ragazzi, veniva il dottore e ci ordinava subito di mostrargli la lingua, e un’occhiata gli era sufficiente per diagnosticare il nostro malanno (che il più delle volte era il male della scuola) e in quattro e quattr’otto ci rimetteva in sesto. Alla zia invece, la zia brontolona, si faceva la linguaccia alle sue spalle, e quante volte a scuola, alla insidiosa domanda del maestro, c’è capitato di fare scena muta, mentre la risposta, ma guarda che scalogna, era lì, sulla punta della lingua? La quale lingua è sempre stata tirata in ballo in ogni circostanza.

C’era, e non era un sarto, chi aveva la lingua che taglia e cuce, chi si pentiva di averle sparate troppo grosse e allora si mordeva la lingua, e chi, assillato da un problema, o seduto nella sala di attesa del dentista, aveva la lingua che batte dove il dente duole. Ci sono anche coloro – chiamiamoli gli sparlatori – che non hanno peli sulla lingua, e chi parla troppo, ovvero ha la lingua lunga e deve dire la sua su tutto e su tutti, altrimenti ha paura che gli si scorci.

Tra costoro c’erano alcuni contadini i quali si misero a criticare un vecchio e un suo figliolo ragazzetto che conducevano un asino al mercato per metterlo in vendita. Né il padre né il figlio gli erano saliti in groppa, e dire che entrambi avrebbero dovuto approfittarne, l’uno per la vecchiaia e l’altro per la tenera età. Allora il padre fece salire il figlio sull’asino, e lui a piedi, ma la cosa non piacque, perché avrebbe dovuto essere il ragazzo a camminare e il vecchio a riposare le sue membra a cavallo dell’asino, e così fecero. Ma può cavalcare il padre e lasciare appiedato il figlioletto? Allora fece salire anche lui, ma, povero ciuco, come fa a sopportare questo carico? L’unico rimedio a tante critiche è quello di scendere tutti e due, e una volta a terra presero un bastone, ci legarono l’asino sospendendolo per le zampe, se lo misero sulle spalle e così proseguirono il viaggio verso il mercato. Dove però il povero asinello non riuscì ad arrivare, perché la gente rideva a crepapelle a quella scena, e allora il vecchio, arrivati che furono in riva a un fiume, ci buttò l’asino ancora legato al bastone, e col suo figliolo se ne tornò a casa.

Una simile avventura si racconta che sia capitata anche a Giuseppe e Maria, i quali avevano un asino ed erano diretti in Egitto per portare in salvo Gesù, che aveva sì e no una quindicina di giorni, a cui i giannizzeri di Erode davano la caccia.

Il tema della fuga in Egitto ha ispirato molti pittori, e tra costoro Giotto, il quale rappresenta un bel ciuchino bigio sulla cui groppa è seduta Maria che ha in braccio il Bambino, mentre Giuseppe va a piedi. A qualcuno non va a genio questo spettacolo con una fanciulla bella tosta in groppa all’asino e quel povero vecchietto (che poi tanto vecchietto non era) costretto a lavorare di gambe. Allora scendono Maria e Gesù e monta Giuseppe: non l’avesse mai fatto, perché una mamma, per giunta con la sua creatura in braccio, non si lascia a terra, mentre lui se ne sta comodo in sella. Meglio scendere, e così prese a camminare a fianco della moglie. Ma ecco che qualcuno si mette a ridere e scuote la testa: bisogna proprio essere tonti per andare a piedi quando c’è un asino a disposizione.

Nonostante questo saliscendi, i quattro (asino compreso) arrivarono in Egitto e lì rimasero fino alla morte di Erode. Il quale, nel frattempo, ne aveva combinate di tutti i colori, come la strage degli innocenti, per esempio, e sul suo conto se ne potrebbe dire quante se ne vuole senza che qualcuno ci possa accusare di essere delle malelingue.