Agli occhi della bellissima Eleonora, gli unici che ho letto e che mi hanno ferito…

Non essere sorpresa. Inizierò così. Ad essere sinceri, non ricordo quando per la prima volta ci siamo incontrati. Credo, ma non voglio sbagliare, che fosse verso giugno, perché ho bene impressa in mente l’immagine di una vecchissima trebbiatrice che ci sorpassò sul vialone che portava a casa tua.

Andava sicuramente a battere il grano, ti dissi. E te mi fissasti con quei tuoi occhi meravigliosi, più limpidi dell’acqua pura, come se ti avessi detto che avevo visto un astronauta che si era perso su nel cielo. Il cielo. Io, ora che ci penso mentre sto qui scrivendo, ricordo quando si usciva la sera insieme e te mi portavi sempre a vedere il cielo senza che la luce ci desse noia. E si saliva su a piedi sulla collina dietro casa tua. Lì, mi dicesti una sera, avresti voluto costruire la tua casa. Rimasi un poco perplesso, perché lì non ci avrei mai abitato io, e forse nemmeno con te. Ma te mi rispondesti che stavi cercando la pace, il cielo come tetto, le stelle come piccole lampadine agganciate alle travi, ma soprattutto, ricordo che mi dicesti, un cuore che ti scaldasse e due braccia che ti stringessero forte.

Era tutto quello che te desideravi, bella mia Eleonora. La seconda più bella ragazza che io abbia mai conosciuto, ti dissi quella famosa sera. Volevi il gelato al pistacchio. Io preferisco e, te lo sai bene, solo limone e cioccolato, ma te quella sera mi hai fatto prendere il gelato al pistacchio. Te lo confesso. È stata la serata più orribile che abbia mai trascorso con te. E l’ultima. Fu da quella sera che cominciò a salirmi in testa l’idea di lasciare per sempre le tue mani. Capii che potevo camminare senza. Noi camminavamo su differenti binari, e nemmeno paralleli. Senza di te, pensai, sarebbe stata una tragedia, ma una vocina dentro di me mi diceva che avrei potuto vivere senza vedere i tuoi occhi.

Non avevo nemmeno più bisogno delle tue mani su di me, non volevo più che tu mi accarezzassi i capelli o che mi baciassi sulle spalle. Eri un’estranea, una con la quale non avrei mai più voluto avere a che fare. Ma continuavi a piacermi, accidenti. Quando ti spiavo dalle persiane mentre arrivavi da me io mi credevo fortunato, ma ora capisco che mi sbagliavo. Mi dispiace.

Eri e sarai sempre bellissima. Ricordi quella mattina che mi portasti il gelato al pistacchio ed avevi in testa quel foulard viola che ti rendeva ancora più bella? Io certo che ricordo e poi rimasi a guardarti mentre lavavi i piatti sporchi della sera precedente. Eri in tuta, quella rossa a strisce verdi, ma io guardavo o almeno cercavo i tuoi occhi, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che li avrei avuti così vicino, quasi da sfiorarli. Ed invece te hai voluto che io non ti sfiorassi più. Da quella sera ho smesso di pensarti.

Non ti penserò mai più in vita mia. Anche se mi costerà parecchio non avere te dentro di me. Piangerò se non avrò le tue labbra vicino alle mie guance. Ma resisterò. Cercherò di fare a meno dei tuoi occhi, del tuo foulard, delle tue mani, di te, mia bellissima Eleonora.

Sì, ti scrivo questa breve lettera, perché non voglio più vederti. I tuoi occhi me li sogno anche nel pomeriggio e me li trovo ovunque vicino a me. Accanto alla foto dei figli del mio direttore di banca, sopra le spalle della mia amica cassiera della Conad, vicino ai piatti che Giovanna ha lì messo uno sopra l’altro a fianco del lavello. Devo imparare a smettere di pensarti. Devo scordarmi le tue belle frasi che mi scrivevi quando eravamo insieme. E quando mi preparavi le uova fritte alle sette di mattina, perché sapevi che mai avrei potuto iniziare la giornata senza quelle. E ti dico che per tutto il giorno io ero perfettamente contento, perché avevo dentro di me le uova fritte che te avevi preparato.

Ma mi sbagliavo. Non te. Il tuo cuore, i tuoi occhi, la tua bellezza che già alla mattina turbavano e mi mettevano in lieve subbuglio, perché non credevo di essere così fortunato. Io con te.

Il problema è semplice. Lo so di darti un dispiacere, ma non posso vederti ogni giorno e sapere di non averti più. Non posso continuare a girare la testa e vederti nella mia mente, mentre te non sei qui con me. Non ti chiedo perché vuoi smettere di vedermi. A me fa male sapere che non potrò più vederti. Sappi che comunque ti vorrò sempre bene e forse anche di più, ma non avrò rancore alcuno verso di te. Io ti ricorderò sempre come la mia bellissima Eleonora che veniva a corsa da me con in mano un pugno di ciliege rubate all’albero del tuo vicino. Erano, se posso dirlo, le ciliege più buone che mai avessi assaggiato. Ma mentre le mangiavo sapevo che i tuoi occhi meravigliosi e luminosi non li avrei mai più visti.

Buona fortuna, bellissima Eleonora,

Fabrizio.