Nel 1938 i miei bisnonni gestivano in piazza San Frediano a Lucca un appaltino. Bisnonna stava fissa al banco perché era bellissima, alta, mora e con due puppe gigantesche che attiravano una buona clientela maschile, più interessata a buttare giù un occhio proprio lì, che non a comprare sale, sigari, francobolli o giornali. Così mi diceva nonna, la loro figliola, la mamma di mio babbo. Era splendida la bisnonna Anna Maria, ma io però l’ho sempre sentita chiamare in casa “Mamma”, come se fosse stata la mamma di tutti noialtri Mari, che abbraccia e consola tutti e che sprona a fare di più, soprattutto a fare più quattrini, perché sono quelli che ti fanno portare fuori a cena la fidanzata o a regalare un mazzo di fresie alla professoressa che ti ha fatto la ripetizione di Algebra durante la canicola estiva. Che è come dire la morte per uno studente.

Bisnonno Ultimo, invece, era timido e piccolino di statura, ma era bellino e proporzionato, ed era ghiotto di gelato al pistacchio, e faceva le consegne a domicilio con la sua bici Bianchi celeste. Erano bellissimi Anna Maria ed Ultimo, dovevate vederli!

Più o meno nel medesimo periodo, che si era in autunno, in Inghilterra, lady Mary Sarita Pitt, una bella ventenne proprietaria di un castello nello Yorkshire, si sposava col cugino del bisnonno Ultimo, il Primo, un ventitreenne che era giunto a Londra sulla fine degli anni Venti, dove aveva trovato lavoro in una distilleria di gin, che però un giorno scoppiò, lasciando per terra dieci operai morti stecchiti. Il Primo si salvò per miracolo e dovette spostarsi in altre città ed arrivò chi sa come, a York. Tempo un mese, trovò lavoro come direttore in una appena inaugurata distilleria, pure questa di gin, dove un giorno entrò per comprare qualche bottiglia del prezioso liquore lady Mary Sarita, che profumava di olio appena franto.

«L’ho vista prima io! È mia!», disse il Primo al ragazzotto scozzese senza cervello che spippolava quelle bacche blu scuro. Da quel giorno non si lasciarono mai, dico del Primo e di lady Mary Sarita. Ma sentite per intero la storia, che ancora siamo a nulla, altro che le fole che raccontavano a veglia davanti al caminetto, dove si stava coi calzerotti di lana grossa, che fumavano che parevano quelli del diavolo.                               

Lady Mary Sarita aveva ereditato, oltre al castello, alcune centinaia di arnie sparse entro le migliaia e passa di acri che circondavano l’avìta dimora, che fornivano da decenni il pregiato miele per le tavole reali di Windsor, Sandringham, Balmoral, oltre a quelle delle famiglie di alcuni tra i lord britannici più ragguardevoli. Inutile dire che quando il Primo vide entrare lady Mary Sarita nella distilleria, le corse subito incontro, facendole un degno inchino. Dopo tutto, il Primo era un gran signore e pur sempre un nostro arcavolo garfagnino. Il Primo dovette diventare membro della Chiesa d’Inghilterra, cosa che per lui fu abbastanza facile, visto che andava in chiesa con la stessa voglia che il cane ha delle legnate sul groppone. Lady Mary Sarita rideva matta del Primo che non bestemmiava ma che aveva la roncola facile se qualcuno lo contendeva!

Ho qui davanti a me alcune lettere di ringraziamento dei reali inglesi dell’epoca, re Giorgio VI e sua moglie, quella che sarà conosciuta come la regina Madre, cioè i genitori di Elisabetta II, l’attuale regina di Inghilterra. I reali elogiano il miele del Primo e di lady Mary Sarita e a parte qualche noiosa divagazione sulle benefiche virtù del miele, la lettera termina con un invito ufficiale per il Primo e la moglie a Windsor.

Presso l’Archivio Nazionale di Londra, in una fredda mattina dell’ottobre 2019, ho finalmente trovato una foto datata 15 settembre 1943 che vede il Primo, lady Mary Sarita, re Giorgio VI e sua moglie Elisabeth nel parco di Windsor. Una diciassettenne principessa Elisabetta, l’attuale regina, è poco distante da lady Mary e sembra guardarla con simpatia. Traspare una certa confidenza dalla foto; si vede il re che tutto fiero stringe il braccio del Primo, come se fossero vecchi amici; lady Mary Sarita invece sembra quasi imbarazzata dalla vicinanza della regina consorte.

Indirizzandomi speditamente verso la fine di questi ricordi sparsi dei miei bisnonni in terra inglese, voglio qui rammentare un episodio che mi ha raccontato nonna mentre si stava davanti al fuoco una sera che era inverno ed io cercavo senza speranza di imparare a fare le mondine e a rigirarle come faceva lei, dando un colpo secco senza far cadere nemmeno una castagna nella brace. Ah, quante storie ancora dovrei dirvi di nonna!

Si era vicino alla fine della guerra, principiò a raccontarmi nonna, scuotendo le castagne solo di tanto in tanto. Il Primo e lady Mary erano ormai di casa a Windsor. Tutti conoscevano quel garfagnino fiero, bello e dai modi educati e sua moglie, alta come una pertica piantata là in mezzo ad un campo di girasoli. Ho qui alcune foto del re Giorgio VI e del Primo, seduti sotto un bersò. C’è pure una bellissima foto della regina consorte che chiacchiera e gesticola all’italiana con lady Mary Sarita, ed entrambe cavalcano i rispettivi cavalli all’amazzone, tenendo cioè unite le gambe da un lato. La regina consorte sembra anche dare un mazzolino di fiori a lady Mary Sarita.

Ma veniamo a quello che nonna mi ha raccontato di quando il Primo salvò la vita della principessa Elisabetta. Il re sapeva che il Primo era un repubblicano. Nonna, in un inglese che poteva essere babilonese tanto era poco comprensibile, ricordo che mi imitò la voce di Giorgio VI, che incheccava tremendamente, quando propose al Primo di accompagnare sua figlia a vedere le arnie che mio bisnonno curava con bisnonna lady Mary. Immaginatevi per un secondo il Primo a cavallo che accompagna la futura regina d’Inghilterra a mostrarle le sue arnie con quell’orgoglio repubblicano garfagnino.

Ad un tratto accadde un orribile imprevisto. Nonna mi raccontò che il Primo le aveva confidato che mentre si stavano avvicinando alle arnie, il cavallo della principessa scattò di lato, scalciando con rabbia. Un nugolo enorme di api stava proprio sopra la sua regale testa; il Primo, così sappiamo noi grazie al racconto di nonna, scese fieramente dal suo cavallo e con una mossa agile riuscì a coprire colla sua giubba tutta a scacchi il corpo sacro ed esile della principessa, adagiandolo con la dovuta riverenza sul suolo, lontano da quelle perfide api albioniche.

Il Primo montò, sia detto con rispetto parlando, sul cavallo la principessa gonfia dalle punture di quelle api, menandola al castello, dove nel frattempo illustri e blasonati medici e farmacisti erano accorsi a salvarle la vita. Il re, al quale tremavano le gambe al sol pensiero di perdere la sua figliola, telegrafò subito all’arcivescovo di Canterbury affinché pregasse per la sua amatissima Lilibeth. Nonna piangeva quando mi diceva questo e credo che la vita della futura regina fosse davvero in pericolo.

Ho qui un ritaglio del The Times, dove si vede il Primo ricevere da re Giorgio VI la medaglia di cavaliere del Regno Unito. Proprio dietro la regina consorte si intravede la principessa Elisabetta, fiera ed orgogliosa di aver aggiunto il prode e coraggioso Primo tra coloro che più hanno avuto rispetto della casa reale d’Inghilterra. E pure il re guarda fiero il Primo, colui che ha salvato dalla minaccia delle api la vita di sua figlia, contribuendo a renderla leggendaria.

P.s. Il 16 ottobre 1980, la regina Elisabetta II, in visita ufficiale a Roma dal papa e dal presidente della Repubblica, contravvenendo a qualsiasi regola del rigido protocollo reale, volle inderogabilmente salire su con la Range Rover blu dell’Ambasciata britannica a Roma fino a Vallico Sotto. Il prefetto di Lucca e l’ambasciatore britannico a Roma aspettarono la regina sull’uscio della casa del Primo al Sasso.

Di quell’incontro tra la regina ed il Primo si hanno solo poche fotografie, tuttora secretate. Il primo ministro dell’epoca, Margaret Thatcher, impose infatti il segreto di Stato su quella visita della regina a Vallico Sotto. Nessuno dei vallichini si accorse né del Range Rover blu né tanto meno della regina. Il Marino, il barista del paese, che stava giocando a briscola col Mauro, quando si vide quella vecchietta tutta vestita di rosa venirgli incontro da sola chiedendogli in un decente italiano dove fosse la casa del Primo, asciugandosi le sudate mani al grembiale, si alzò stringendo con sé le carte, perché non si fidava del Mauro, e le indicò la poca salita che le rimaneva da fare. Il Marino, quando seppe che aveva indirizzato al Sasso la regina di Inghilterra, stette quasi un mese senza mangiare e parlare.

Grazie ad Andrew B., nipote di una guardia del corpo che era con la regina al Sasso in quella giornata memorabile per il Primo ed Elisabetta II, ho qui di fronte a me alcune fotografie che ritraggono il Primo che accompagna la regina, tenendola teneramente per mano, come se fossero vecchi fidanzati, al suo pollaio alla Cascatoia e alla cucina della casa del Primo alle Borrette. Ce ne è una che è tuttora nella canonica della chiesa di Vallico Sotto, firmata dalla regina e dal Primo.