La parola calligrafia è una parola bellissima, che la bellezza ce l’ha proprio nell’etimo: deriva infatti dall’unione del greco kalòs, che significa appunto “bello”, con la parola graphìa, e quindi indica la scrittura dal tratto fine ed elegante, l’arte di scrivere in modo piacevole. Non per quanto riguarda il contenuto, di cui invece si occupa l’ornatus, che è invece l’arte di scegliere bene le parole e di arricchire il linguaggio di immagini che lo rendano originale, efficace, convincente. Mentre sopravvive il secondo, e si possono leggere ancora molte cose belle scritte dagli studenti più dotati per le materie umanistiche, constato ahimé con grande dispiacere che la calligrafia sta lasciando sempre più il posto a una grafia che non definirei bella, e talvolta nemmeno passabile.

 

Non devo cercare troppo lontano (ho in casa un undicenne in quinta elementare…), e per fortuna mi capita talvolta di vedere qualche quaderno particolarmente ordinato: ma sono casi, purtroppo, sempre più rari. Anche gli alunni che ottengono buoni risultati spesso hanno calligrafie terribili, tanto che loro stessi faticano nel leggere ciò che hanno scritto. Non voglio addentrarmi nell’area, delicata, dei disturbi specifici del linguaggio, e delle difficoltà che essi comportano; in quel caso si tratta di problematiche che richiedono interventi particolari, e non sono certo legate alla fretta, alle cattive abitudini o a lacune nel percorso scolastico. Sto parlando, proprio, della precisione – o della sua assenza – nel tratto grafico. Dell’altezza disuguale delle lettere sul rigo o nel quadretto. Del non riuscire a usare tutto lo spazio a disposizione in modo armonioso. Del consegnare elaborati scritti in stampatello perché molti ragazzi mi dicono di non saper più usare il corsivo, o di non volerlo usare perché sarebbe ancora più illeggibile.

 

È già successo, nella Storia. Nel IX secolo d. C. l’imperatore Carlo Magno, che non aveva una grande cultura ma si rendeva conto del potere che la cultura esercita, fondò la Schola Palatina ad Aquisgrana; tra le materie insegnate c’era anche la calligrafia. Gli esperti inventarono la minuscola carolina, che andò a sostituire nei manoscritti dei copisti e nei documenti di cancelleria lo stile grafico precedente, ormai diventato irregolare e poco leggibile. Era così elegante che servì da modello per i primi caratteri a stampa nel XV secolo.

 

Ripenso alla calligrafia di mio nonno, classe 1913. Avevo tra le mani l’altro giorno alcune sue vecchie carte, e il tratto grafico era così armonioso, sul foglio, che suggeriva un’unica onda con picchi e discese morbide, senza le fastidiose interruzioni dello stampatello. Mio nonno aveva fatto le medie, e in quell’epoca era già un successo: mi raccontava che la calligrafia era una materia scolastica, e lo è stata credo fino agli Anni Sessanta. Il maestro disegnava (che bella parola, “disegnare”: mi fa venire in mente che lo scrivere bene è un’arte) le lettere alla lavagna, e con penna e calamaio i bambini le riproducevano tante volte sui loro quaderni. I mancini, come sempre, erano in difficoltà, e i quaderni si sporcavano un po’ di più, ma alla fine imparavano anche loro. In effetti, a pensarci bene, questo metodo non è poi così diverso da quello che usavano le mie, di maestre, quando le elementari le ho fatte io, a partire dal 1980, e il calamaio aveva lasciato il posto alle penne a sfera (anche se sui banchi il buco per la boccetta dell’inchiostro c’era ancora: il ricordo dolce di un mondo che non c’è più).

 

Cos’è cambiato da allora? Perché la calligrafia degli studenti di oggi si è deteriorata, tanto che lo riconoscono loro stessi senza alcun imbarazzo? Sicuramente sono cambiati i metodi di insegnamento: i miei figli hanno imparato prima a usare lo stampatello, e finisce che usano più spesso quello del corsivo, per praticità e perché ne hanno maggior padronanza. Mi succede di riscontrarlo anche nel lavoro: su venti compiti di Italiano che correggo, più di due terzi sono in stampatello (in uno stampatello bruttino, a dirla tutta). La seconda ragione la ravviso nello spazio smisurato che la tecnologia ha assunto nella nostra vita e nella vita dei ragazzi e dei bambini.

 

Si digitano messaggi su un cellulare ed email su un tablet, e la tastiera del pc ha sostituito quaderno e penna perfino per scrivere una lettera d’amore. Chi ha la mia età si ricorderà forse con un po’ di nostalgia il callo che avevamo noi sul dito medio della mano quando eravamo studenti: era il callo dello scrittore, veniva dall’impugnare la penna per tante ore. Fate una prova con i vostri figli: quel callo non ce l’hanno più, o se c’è si vede appena. Ecco, per me quel piccolo segno che è scomparso dalle mani è la prova più evidente del tempo trascorso, e delle innumerevoli differenze tra oggi e il passato, a cui spesso non mi va di ripensare.