21 aprile 1921 – 21 aprile 2021. Primo secolo di vita per l’Unione Sportiva Pistoiese 1921 conosciuta semplicemente come Pistoiese.

Le pagine de il Cittadino partecipano a questo singolare anniversario proponendo una apposita intervista gentilmente rilasciataci da uno delle sue bandiere storiche: il difensore Fabrizio Berni.

D. Berni, cosa significa per una società come la Pistoiese festeggiare 100 anni di vita?
R. E’ un traguardo importante per una società di calcio storica come la Pistoiese. L’unico rammarico, almeno per me che seguo la Pistoiese con affetto e simpatia, quest’anno la vedo che barcolla un po’. Mi auguro che si possa riprendersi, perchè, come ripeto, l’affetto e la simpatia per la città di Pistoia e la società sono rimaste intatte.

D. Chi ritiene il protagonista assoluto della Pistoiese di questi 100 anni?
R. Il presidente Marcello Melani. Al di là della validità del gruppo dei giocatori, dell’ambiente sereno, credo che Melani sia stato il vero artefice della escalation della Pistoiese. Possedeva delle doti di gestione, di intuizione, di psicologia, di scaltrezza che sono rimaste uniche. Ho giocato quindici anni tra serie A e B in sei squadre e ho avuto diversi allenatori, ma Marcello Melani e Franco D’Attoma del Perugia sono stati i due presidenti migliori e più lungimiranti senza fare torto a nessuno. Melani è stata la vera forza del successo di tutti gli anni della Pistoiese.

D. Cosa rappresenta la Pistoiese nella realtà calcistica Toscana?
R. In questo momento, purtroppo, è una immagine un po’ sbiadita… Perchè da anni mostra molta difficoltà. Sinceramente mi meraviglia un po’ perchè grande è la passione del calcio che è presente a Pistoia. La città vorrebbe che la Pistoiese navigasse in acque migliori. Il mio augurio sincero che possa, quest’anno, salvarsi e poi spiccare il volo verso traguardi più confacenti alla città di Pistoia.

D. Oggi cosa merita la Pistoiese? In quale categoria professionistica potrebbe giocare?
R. A mio avviso la Pistoiese meriterebbe la serie B. Il tessuto economico, sportivo, societario e la città di Pistoia con un po’ di opportunità, fortuna, condizioni favorevoli e persone capaci di gestire, la Pistoiese merita la serie B.

D. Berni, qual è stato il suo miglior campionato giocato con la Pistoiese?
R. Non saprei dire… Ho indossato la maglia della Pistoiese sei anni (1979-1985) e non voglio considerare l’ultimo anno disputato in serie C che fu una esperienza negativa per tutti. I cinque anni precedenti dal momento che vincemmo il campionato e giungemmo in serie A, credo di essere stato un giocatore che garantiva in continuità il suo rendimento. Senza picchi altissimi di rendimento, ma affidabile e tranquillo. Credo che ciò sia stata la forza dei difensori a differenza degli attaccanti che hanno invece caratteristiche di maggiore estemporaneità.

D. Quali differenze denota tra il campionato di serie A disputato con la maglia della Pistoiese rispetto ai campionati di oggi?
R. Il calcio è cambiato. Non so se in meglio o in peggio. La velocità è aumentata e la tecnica forse è diminuita. Si corre di più. Oggi per fare il calciatore occorrono certe doti fisiche, soprattutto quando si gioca come terzini di grande corsa. Però, in questa frenesia, credo che le partite siano meno divertenti. Si sono instaurate delle mode del calcio che a me, sinceramente, fanno sorridere come la costruzione dal basso e tutte le novelle metropolitane che raccontano… Poi il gioco deve partire dai terzini che sono in difficoltà sotto la pressione degli attaccanti. Oggi si fanno venti passaggi per guadagnare un metro e sempre passaggi laterali… Non so se il calcio di oggi sia più divertente rispetto a quello dei miei anni. Certo questa moda di costruire dal basso, onestamente, mi fa un po’ ridere. Tutti sono omologati e tutti vogliono fare il calcio prepositivo. Il calcio deve essere produttivo. Deve produrre il risultato. Se invece di fare sessanta passaggi per guadagnare un metro facciamo un lancio lungo spostandosi tutti in avanti, secondo me, non è da disdegnare questa teoria.

D. Quali giocatori arancioni ricorda in particolar modo?
R. Le ricordo tutti con grande affetto e grande simpatia. Come si fa a non ricordare Giorgio Rognoni, Mario Frustalupi, Pier Giuseppe Mosti, il mio amico Fabrizio Salvatori che diceva una parola ogni tre giorni, ma al quale ero molto affezionato? Le ricordo tutti. Eravamo una squadra di bravissimi ragazzi, disponibili, intelligenti, non c’erano invidie. Ricordo Marcello Lippi, al quale in tempi non sospetti, pronosticai una grande carriera di allenatore… Poi Francesco Guidolin… E con affetto e simpatia ricordo l’allenatore Enzo Riccomini con cui ho avuto un rapporto molto bello. Era l’allenatore ideale per gestire una squadra di “vecchietti”, ma molto professionali che Riccomini si poteva fidare.

D. Berni, lei ha vestito le anche maglie di Fiorentina, Cesena, L. R. Vicenza, Perugia e Genoa, la Pistoiese quale posto occupa nel suo cuore?
R. Non posso dimenticare la Fiorentina, la squadra in cui sono nato e dove sono esordito nel calcio professionistico. Poi ho iniziato la mia carriera a Cesena con l’allenatore Luigi Radice. Tutte le tappe che ho fatto sono state importanti. L’unica città e l’unica società che ricordo con poca simpatia è stata Genova, dove trovai un ambiente chiuso e poco confacente con il mio carattere. Pistoia rappresenta un ricordo molto molto felice. Lì chiusi la mia carriera, ma soprattutto vi feci un atterraggio morbido, nel senso che ho intrapreso poi altre attività senza scossoni e impennate. Ho dato quello che dovevo dare in base alle mie possibilità e alla mia esperienza. Quando ho terminato nel mio motore non c’era più benzina… Ma quei sei anni vestiti con la maglia arancione ho dato anima e cuore perchè mi sono sentito un’unica cosa con la città e la Pistoiese.