Ci sono lunghi momenti, in questi ultimi tempi, così mise ri di slanci emotivi e passionali, che la mia testa si riempie di ricordi. Ora, è noto che quando si raggiunge il gradino di età sopra la maturità (è quasi proibito utilizzare la. parola vecchiaia!), la nostra mente vive un po’ così, quasi meccanicamente, il presente. Si vorrebbe, ma qualcosa o qualcuno non ce lo permettono di dare uno sguardo al futuro.

Ebbene, sì rimane il passato che, chi più, chi meno, ha riempito quel vecchio cassetto dello scompartimento con quello- quella ero io! Serto, quel contenitore andrebbe controllato, e riordinato; ma, siamo umani, e la scusa di rinviare la si tro­va sempre. Ecco, ritornando all’inizio, ci sono momenti così, di confusione; a volte, basta la chiusura della giornata che illumi­na la cresta delle “Rocchette”; in altre, quel tenue rosa del­l’alba; infine, un momento di pausa negli affanni giornalieri, certamente minori di prima, ma sappiamo bene che, il ogni 24 ore, un problema si presenta, e fortunato chi ne affronta solo uno.

 

C’è poco da fare: è la nostra storia, da sempre, ed anche per onesto io cerco di navigare di cabotaggio, cioè di non allontanarmi tronco dalla costa. E la felicità? Ah, gran bel momento, quando capita, ma sappiamo benissimo che il suo termine è dietro l’angolo. Quella, è come un bel gelato di pieno luglio: viene l’acquolina in bocca (magari uno di panna montata!), ma sbrigati a mangiarlo altrimenti le mani si impiastricceranno, così come la lingua nel declinare questo verbo. Così, quando la mente si riempie di memorie, che sgomitano tra di loro per riuscire a prevalere sulle altre, di solito seguo, banalmente, una scaletta, in un orario più o meno solito. Un tran-tran, si dice, ma le ricordanze, le mie, di tutti, non sono un tran-tran. Sono “pezzi” di vita, squarci di azzurro nel grigiore quotidiano, piccoli-grandi relitti di un naufragio che colpisce, senza fare sconti, la nostra vita. E quanti, di questi relitti!! Tutti, però, con un calore che dal tiepido passa al bollore della gioventù, quando s’in­crociava un lui, una lei, che ci rapiva. Poi, quelli che sentivamo come un noioso ripetere quotidiano, e che ora scopriamo come piccole, minute, colorate mattonelline di quel mosaico che di artistico aveva poco ma, invece, di commovente era, un grande tesoro.

 

In quei momenti, immagini, colori, volti, riprendono vita, e tutto -dentro- s’infiamma. Ricostruisci, sistemi, rivivi profondamente non solo quella foto, ma il prima, il durante e, purtroppo, il dopo. Ecco perchè, per l’età e gli altri motivi, ho smesso di correre; ora cammino, passeggio con una certa, lentezza». E’ ve­ro: si scoprono particolari che abbiamo trascurato, e che ci sorprendono con tanto affetto. Scorci di panorami che tratten­gono le diversità delle stagioni, con le loro tinte, l’aria differente, e le nuove rughe di un vecchio edificio. Lentamente, al contrario del mondo attuale che corre affannosamente per arrivare primo, ma dove, perchè, stupidamente. Vado lento perché i ricordi di una vita non si possono rispogliare se corri; anche loro sono anzianotti; anche loro hanno qualche acciacco; anche loro hanno bisogno di pause per non perderli per sempre. Ho affisso alle pareti della stanza dei libri tante foto ed altri piccoli oggetti; foto molto vecchie, giovanili e mature, ma pochissime recenti. E’ un segno del trapassare del tem­po, che è stato ben definito dalle stagioni dell’anno. Foto vecchissime, di decenni fa, quasi centenarie, in bianco e nero, con qualche angolo a volte sbiadito. Ma di che parlo? Oggi, le foto sono decine al giorno, colorate, ritoccate, animate; vuoi mica, paragonarle con le mie, le vecchie, che richiedevano -spesso- di mettersi in posa, e di restarci!

 

Ognuna di quelle mi parla, ci parlo. Forse, invecchiando, anche la testa va un po’ per conto suo, ma le mie conversazioni sono senza voce, con lo spirito. Sono anni, ormai, che ho rac­colto in sacchetti le foto che raccontano a “pezzi e bocconi”, il percorso che ho fatto, ferme e silenziose; attendono, e il buffo è che dico di loro: “Domani, dopodomani, al massimo, vi metterò in ordine, prima che sia troppo tardi“. Tanti “domani” sono passati, e ancora non sono riuscito a rimettere in ordine quegli oggetti; spesso, per un lasciarsi andare alla pigrizia, all’apatia, alla svogliatezza, che in questi ultimi due anni hanno preso possesso della mia volontà, quella rimastami. Rinvio, con una punta di amarezza, ad un momento di coraggio che mi spinga, con forza, a compiere questo viaggio verso lo ieri. Il mio carissimo amico Lucio, “my very good friend” mi scrisse, aveva di fronte a sé solo il domani, nemmeno quasi oggi. Anzi, solo in casi eccezionali, come per dare sfogo im­provvisamente ad un ricordo lontano, mi citava un suo vecchissimo episodio che poi, io, in un secondo momento, incastravo in un puzzle che mancava, di decine di tessere.

 

Guardava avanti; io, sempre indietro, soprattutto oggi; e mi lamentavo, a volte, della monotonia del lavoro, che sembra­va sempre lo stesso, sempre uguale. La pensione! Era un miraggio; sembrava irraggiungibile come credo lo sia per le nuove generazioni. La pensione come mè­ta agognata per anni. Fai più gli stessi gesti, le stesse parole, gl’impegni sempre uguali. La libertà! La libertà di alzarsi tardi, di scegliere cosa fare, dove andare, addirittura cosa mangiare. L’entusiasmo di averla raggiunta era effimero; dopo solo pochissimi giorni, dentro si muoveva qualcosa di strano, di scomodo, di amaro. S’apriva un nuovo capitolo che avrebbe dovuto essere piacevole, divertente, rilassante. Allora, perché questa leggera scontentezza? Solo io l’ho provata? 0 è un fat­to comune un po’ a tutti? Eppure, dovrei fare, dovrei sistemare almeno le foto, mettere in ordine gli album, rivedere con emozione e calore quel­li che sono stati con me ieri; Forza !

 

No, c’è qualcosa, che mi frena, e non dargli un nome, un motivo per cui rimando questo tuffarsi nel mio passato, questo “dolce annegare” nelle memorie come in un mare calmissimo. Mi fermo; indago, approfondisco, ma quel “qualcosa” è sfuggente, o sono io, vecchio, che non riesco più a mettere a fuoco il mio pensiero. Eppure, il nostro pianeta è ormai diventato un’accozzaglia, di chiacchieroni, e tutti, esclusi coloro che stanno ormai scomparendo dai radar tecnologici, parlano, dagli infanti ai vegliardi, costantemente, continuamente, pervicacemente “connessi , si dice così? Valanghe di parole, d’immagini, di scese perché niente è gratis, e le promozioni sono trucchetti da Luna Park; in più, ogni anno un nuovo modello di macchina, di telefonini, di TV, di moda, segnalati da coloro che hanno un’influenza su moltis­simi cervelli, ormai incolonnati come soldatini di piombo, che si muovano e pensano come marionette agli ordini di “influencer” che è molto vicino all’avverbio “influenceable”=influenzabile: sarà così?

 

Così facendo, il vecchio modo di comunicare faccia a fac­cia andrà in soffitta; le riunioni si faranno utilizzando il computer, e anche le pagelle s’invieranno con quello, per non parlare delle lezioni. E’ una “nuova” democrazia? E’ vero: la vecchia era, un po’ arrugginita; quella del rispetto degli avversari e dei numeri, del confronto delle opinioni vince chi ha la maggioranza, e chi perde si chiede dove ha sbagliato. Se … Se si accettasse la, sconfitta, ma noi si discute anche sulle partite di calcio e la correttezza degli arbitri. Ormai, stiamo voltando pagina, e la mia paura, è che si rischi di finire come nel film “2000: Odissea nello spazio”. Ma queste sono semplici, modeste considerazioni di un ex, che vede il suo mondo scomparire poco a poco. Infatti, leggevo stupito e interdetto che, verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, in California stavano attuando le prove generali con in cattedra un mezzo tecnologico; mi dicevo: impossibile! Ma dove vogliono arrivare?!? Ci siamo, quasi. Oggi, se c’è già un bussolotto che, ordinandogli a voce il canale TV, lui si “connette” ed esegue …

 

Crediamo, poveri illusi, di guidare e controllare le nuo­ve macchine, ma già circolano quelle senza il guidatore. Oramai, il rapporto umano è diventato un retaggio, un patrimonio spi­rituale di pochissimi decenni fa. Oggi, tutto deve essere veloce: fast, fast, fast come dice un presidente di calcio. Invece, una volta, i vecchi ci dicevano che “Veloce e bene non stanno insieme”: era vero? O, invece, si riesce a collegarli e farli funzionare? E, allora, sotto con la “tavoletta”, così io chiamo quell’oggetto ingombrante che ormai quasi tutti possiedono, e ci parlano, ci ragionano, ci cercano, magari ci dormono insieme.

Io, da anni, ho abolito tutti gli orpelli che s’indossano: orologio, anelli, catenine, braccialetti, e la mia pelle -un po’ rugosa- è intonsa; nessun “scarabocchio” anche se è la moda “bimbo”, che, come sempre, va oltre il limite del buon gusto. Così, da una leggendaria civiltà contadina, dove le paro­le spese erano quelle indispensabili, siamo arrivati ad una società ciarliera, che chiacchiera e manda messaggi ogni giorno per 24 ore.

 

Non si scrive più, dunque; non più lettere né car­toline e auguri: a tutto questo ci pensa la tavoletta, che, ovviamente, non viene spenta mai, anche in macchina: con quel­la, o un telefonino, tanti, troppi li usano anche guidando. Mi chiedo se questo sia un vizio, una dipendenza psicologica che, da mezzo di comunicazione di una certa, rilevanza, è diventato uno strumento di tortura: ti chiamano in tanti, a tutte le ore, per futili motivi o bischerate, per non parlare dell’asfissiante, indecente e subdola pubblicità. E’ un panorama fosco? Certo; se poi ci mettiamo anche la TV e i viaggetti turistici nello spazio… Ma, scusatemi: “Va tutto bene, madama la marchesa?”, qui da noi? Mi pare che i problemi quotidiani della “massa” siano sempre più pesanti, pressanti, e le soluzioni spesso non si trovano. Così è, e gli anziani come me vengono lasciati indietro, e che non rompano, per favore ! Ci si rassegna, come i vecchi di una volta,, che almeno avevano la magra, consolazione in una fede ormai quasi scomparsa. Infine, è chiaro dunque che, quelli della terza, quarta età sono diventati un ingombro: di più, negli ospizi, che si chiamavano case di riposo di poveri vecchi, oggi assai costose; altri, con la “badante”, che forse non costa meno. Ma il proble­ma rimane.

 

Affaccendati tutto il giorno, per tutti i giorni, genito­ri e nonni non più “utilizzabili”, cioè “scaduti”, sono messi da parte. Possono partecipare solo in qualche rarissimo avvenimento e, finito quello, tutto ritorna come prima. E’ il momento del tramonto, che colora dolcemente l’orizzonte di un rosa pallido, e le vaghe nuvole nel cielo autunnale. Questi, sono i momenti della riflessione, del ripensare, del ripercorrere un passato che, anche lui si sta allontanan­do, e che s’impossessa del tuo spirito, che accompagna l’esile memoria di un caro di famiglia. Momenti pieni di commozione, in questo vuoto che si fa spazio dentro di te, e non riesci a riempirlo perche inconsolabile e incancellabile. Ecco, allora, che capisci quali sono i veri valori, i veri sentimenti: l’amore, gli affetti, l’amici­zia, la tenerezza; elementi che contano, che in parte colmano quei vuoti e, anche se non completamente, addolciscono il dolore. Non più superficialità, apparenza, esasperata tecnologia, con i milioni di parole spese quasi tutte inutilmente, e che non possono sostituire i pilastri dell’umanità. Si accenderanno bagliori nella tua mente dettati da sinceri, piccoli-grandi-rimpianti. Solo ora ti renderai conto di quanto ti sia costata quella partenza, e riconoscerai il tuo dispiacere con un pensierino semplicissimo, di cui resterai prigioniero: “Quante parole non dette, quante domande non fatte!”. Domani, sarà un altro giorno: uno di più, o uno di meno?.