Pur avendo nelle vene un pizzico di modesta, periferica senesità, fino ad alcuni anni fa questo luogo mi era vagamente conosciuto. S. Galgano. Leggi la Storia e non sei attratto dai piccoli particolari; soprattutto quella Medievale che, come tutti i periodi, non ha una collocazione temporale ben definita: serve per gli studenti, non per gli storici. Nei miei tempi, ho sicuramente incontrato quel nome, e perché. Incameri, classifichi, e vai avanti.

Se poi approfondisci un altro periodo, quell’incontro rimane una località da erudito. Nello scorrere del tempo, per casualità o fatalità, riscopri – improvvisamente – parte di ciò che pensavi di aver dimenticato. Una gita scolastica, che sa un po’ di banale, e che invece mi ha aperto uno scenario inaspettato, conosciuto solo attraverso disegni e fotografie, e che mi ha innamorato. Dico innamorato per tutto ciò che quel luogo, appena visto, mi ha trasmesso: la sua atmosfera, il suo silenzio, il suo passato scomparso, svanito.

Qui, si respira, si compenetra in te, ancora, una profonda spiritualità, quella occidentale, quella cristiana. Sembra che tutto sia spirito puro, pur se trasfigurato in fiori, e messi, e alberi. Sei con te stesso, eppure mai solo: sensazioni e convinzioni che non s’impongono, ma s’infiltrano in ogni tua fibra. Vaghi, i rumori. Il cinguettio degli uccelli, che ha note di serena libertà; rèfoli di vento tra i boschi, i vitigni, l’erba alta, che s’inchina per salutar lo, e poi si rialza, dolcemente, senza sforzo.

Manca la campana delle ore, il suo suono; quella che scandiva il ritmo della giornata, sempre uguale e mai la stessa perche, in questo pathos, non esisteva la noia di ripetere le azioni di sempre, come i suoi riti. Era un vivere distaccati dal mondo reale, quello tumultuoso e pericoloso dell’epoca, ma grande differenza, da allora, oggi non la vedo.

Il monaco viveva serenamente nell’abbazia, e nei locali attigui, con i suoi confratelli. Però, col trascorrere dei secoli, il movimento cluniacense perse la sua originale spinta di puro misticismo per diventare una potenza economica di quei tempi. L’allargarsi delle sue proprietà arrivò a lambire quelle dei nobili, creando un conflitto d’interessi e di potere che ne determinò il suo declino.

Oggi, ne sono ricordate alcune, le più importanti; le altre, seppur allora famose, sono quasi tutte state dimenticate. Questa è forse la più emblematica di quel lontano periodo storico, famosa e ricca allora, ma che di lei rimane solo lo scheletro dell’edificio sacro, e poco altro, intatto o quasi, grazie anche ai restauri del 1923 che niente hanno aggiunto a ciò che fu trovato.

Le scorrerie e la peste del 1346-50 ne determinarono il declino; successivamente, la vendita delle lastre di piombo del tetto così l’hanno ridotta: monumento di se stessa. Oggi, gruppi annoiati e distratti del frenetico turismo di massa rimangono stupiti da questo complesso rovinato, preferendo invece il vicino eremo di Montesiepi, 500 metri a piedi da questa, con la sua famosa ‘spada nella roccia’: è più “turisticamente” corretto che non la maestosa abbazia.

Una mezz’ora, forse un’ora, e tutti se ne vanno, ma pochi hanno capito l’essenza vitale del luogo, e del messaggio che ci ha lasciato. Viviamo ormai in modo sbadato e superficiale; non riusciamo più a raccoglierci in noi stessi; rifiutiamo il silenzio e non lo ascoltiamo. L’abbazia di S. Galgano è sempre lì, da secoli, pur se ormai vuota, per ricordarci che la vita non è solo quella frenetica e tumultuosa di oggi, ma è stata anche quella degli spazi silenziosi, intimi, ascetici.

Lontana, quella, ormai da quasi mille anni, eppure ancora attuale per chi, con semplicità e sincerità, sa volare con le ali dell’anima.

Franco Corsetti