Nella città di Monsummano Terme nacquero personalità come il poeta Giuseppe Giusti e il ministro regio Ferdinando Martini.
A contribuire al prestigio della città c’è, a parer nostro, anche l’illustre calciatore Fabio Galante.
Deciso difensore, le sue reti spesso determinanti e le quattordici stagioni disputate nella massima serie indossando maglie di Genoa, Inter, Torino e Livorno gli hanno consentito di presentarsi come un uomo di “punta” della città monsummanese.

D. Galante, a suo avviso, il Napoli meritava di vincere lo scudetto?
R. «Ha strameritato di vincere lo scudetto. Al di là che lo ha vinto con tanti punti di vantaggio, ha espresso un calcio veramente bello, non solo in campionato ma anche nelle partite di Champions League, ottenendo grande vittorie. È chiaro che è stata un’annata veramente incredibile. Sono contento per l’allenatore Luciano Spalletti, che conosco bene per averci anche giocato insieme nell’Empoli, e sono felice per lui che è riuscito a portare lo scudetto a Napoli dopo trentatre anni». 

D. Si aspettava le sconfitte nelle competizioni europee della Roma, Fiorentina e dell’Inter?
R. «Mi auguravo di vincere tutte e tre le coppe. Sappiamo che una finale, l’ho detto mille volte, è una partita “secca” in cui giochi 90 minuti, a volte 120, oppure tutto può succedere ai rigori.
Sicuramente in tutte e tre le competizioni è mancato quel pizzico di fortuna che serve specialmente in una finale. Ripeto, con un pizzico di fortuna, una coppa potevamo vincerla. Dispiace non esserci riusciti. Però deve servire da stimolo per i prossimi anni ed essere arrivati in finali in tre competizioni europee mi ha riportato indietro nel tempo, quando accadeva alle squadre italiane negli anni ’90». 

D. Anche la Juventus non naviga in buone acque…
R. «Dispiace vedere situazioni come quella della Juventus e anche squadre di Lega Pro che falliscono. Quando sento parlare di una squadra mi piacerebbe si discutesse solo di calcio. Non si dovrebbero verificare situazioni in cui durante il campionato vengono dati punti di penalizzazione e poi tolti e poi dati nuovamente… Tutto ciò non giova al sistema». 

D. Quanto le manca il calcio giocato?
R. «I primi anni tantissimo. Ho terminato nel 2010. Poi mi ci sono abituato. È chiaro che dopo venti anni di professionismo non è facile smettere, però è la vita. Ho iniziato a giocare a sette anni e l’ho fatto fino trentasette anni e quando si smette dispiace, ma sono contento. In definitiva ho fatto quello che desideravo sin da bambino, mi sono tolto molte soddisfazioni e non ho rimpianti»

D. Quali sono stati i suoi segreti per diventare un grande calciatore?
R. «Non ci sono stati segreti. Sicuramente l’aver svolto tutto con impegno, determinazione e carattere. Non mi sono mai arreso davanti alle difficoltà che ogni persona e che ogni giocatore che giunge ai grandi livelli ha avuto. Il segreto è non arrendersi ed essere, certe volte, più forti della sfortuna, di impegnarsi per giungere la sera, prima di andare a letto, potendo dire di aver fatto tutto il proprio dovere. Ma non solo nel calcio».

D. Quali sono i calciatori che ha marcato con più difficoltà e quelli con i quali ha giocato meglio?
R. «Se dovessi elencare i calciatori con i quali ho giocato contro e mi hanno messo in difficoltà staremmo qui fino a domani mattina (sorride ndr). Negli anni in cui giocavo in serie A gli attaccanti erano Gabriel Batistuta, Crespo, David Trezeguet, Christian Vieri, Filippo Inzaghi, Giampaolo Pazzini, Alberto Gilardino, Ronaldinho, Zidane, Roberto Baggio, Ronaldo “il Fenomeno”, Mancini, Vialli… Erano tutti campioni con i quali ho giocato contro. In ogni squadra dove ho giocato ho sempre avuto dei buoni compagni. Nell’Empoli ricordo soprattutto Luciano Spalletti; nel Genoa Stefano Tacconi, Gianluca Signorini, Gennaro Ruotolo, Roberto Onorati, Davide Fontolan…; nell’Inter Giuseppe Bergomi, Salvatore Fresi, Francesco Colonnese, Roberto Baggio…; nel Torino Tonino Asta, Luca Bucci, Gianluigi Lentini, Marco Ferrante…; e nel Livorno Cristiano Lucarelli, Igor Protti, Marco Amelia, David Balleri… Ne ho ricordati solo una piccola parte, ma tutti sono stati dei compagni di squadra eccezionali». 

D. Quali dei suoi goal le suscitano emozioni nel ricordarli?
R. «Non ne ho fatti tanti. Il primo in serie A in Genoa-Cremonese, quando vincemmo 1 a 0. Nella nostra panchina sedeva l’allenatore Scoglio. Un altro goal che ricordo volentieri lo realizzai con la maglia dell’Under 21 e che fu decisivo per la qualificazione ai quarti di finali, consentendoci poi di ottenere la vittoria di quel campionato europeo battendo ai rigori la Spagna. Poi mi ricordo un altro goal in Napoli-Inter, importante l’Inter perché era molti anni che non vinceva a Napoli. Poi il goal alla Juventus che permise il pareggio…».

D. Quali meriti pensa di avere?
R. «Sono stato fortunato. Il mio carattere perseverante, la determinazione e la forza di ricominciare quando certe volte le cose non andavano bene forse si possono definire un merito. In fondo qualsiasi cosa che faccio mi piace sempre farla bene».

D. Cosa è mancato nella sua brillante carriera calcistica?
R. «Per aver disputato oltre 320 partite in serie A, per essere stato già giocatore titolare a 17 anni in serie C1, per essere stato il calciatore più giovane ad essere stato acquistato dal Genoa per tre miliardi delle vecchie lire e per aver mantenuto sempre un alto livello, penso di aver avuto la “sfortuna” di giocare in un periodo dove il nostro calcio disponeva di grandi difensori come Paolo Maldini, Alessandro Nesta, Fabio Cannavaro, Christian Panucci; quindi, non poter giocare nella Nazionale A, mi è dispiaciuto…».

D. Nel mondo del calcio di ieri e di oggi le cose sono sempre quelle che appaiono in tv e nei social oppure è una realtà diversa?
R. «Carlo, negli anni ’80, ’90 e nei primi anni del 2000 era un calcio diverso. Per esempio se volevi parlare con una persona andavi a trovarla personalmente. Oggi con il mondo dei social si parla attraverso il computer, facebook, instagram… Sono cambiati i rapporti».