Era suonata mezzanotte già da un pezzo.

Lei era già a letto.

Sentì battere le tre. Si alzò. 

Si mise di fronte allo specchio.

Lo fissò intensamente quasi come se volesse dialogare con lui. 

Si rimirò una, due, tre volte e stentava a credere che quel bel faccino ovale e cosparso qua e là di lentiggini fosse proprio il suo. A ben vedere, la fossetta sul mento, eredità della nonna materna Artemia, le donava quel non so che di una bellezza aristocratica. 

Continuò ad osservarsi. Indossava una stupefatta aria trasognata ed a tratti assente. 

I suoi grandi occhi verdi a mandorla, velati di una profonda e cupa tristezza, parevano spenti, fuori da quel luogo. Ma lei era dannatamente lì di fronte a quello specchio. 

Fuori c’era un vento che avrebbe strappato il cuore. A lei, ma non solo.

Qualcosa succederà. Qualcosa mi succederà. 

Lo so per certo. È scritto lassù. 

Anche se non c’è nessuno che l’ha scritto.

Ma so che qualcosa mi succederà. È scritto.

Continuò a guardarsi di fronte allo specchio.

Continuò a ripetere quella filastrocca che aveva imparato a memoria chissà quanto tempo prima. 

Fu lì, in quel preciso momento, che iniziò a delirare. 

Anche quando non stava di fronte allo specchio. 

Non se ne preoccupò. 

Qualcosa succederà. Qualcosa mi succederà.

Restò immobile. Fuori c’era un vento ostile, freddo, non naturale. 

Sorrise per un breve attimo. Si pensò simile a quel vento che scuoteva i rami della betulla piantata decenni prima da sua nonna Artemia proprio di fronte all’uscio di casa.

Sapeva che l’indomani l’avrebbero rinchiusa nel reparto. 

Già aveva predisposto tutto. 

Perché lei sapeva tutto. 

Spettava a lei, e solo a lei, decidere se andare via oppure no. 

Tutto accadde in maniera improvvisa.

Ma io voglio scappare, volare, andare. Libera. Finalmente.

Adesso cominciò ad avere paura.

Solo adesso.

Accese quasi per sbaglio la radio. 

Diffondeva Paint it black.

(Cercate di tenere a mente per tutto il tempo della lettura del racconto questa musica).  

Incrociò le braccia proprio all’altezza del seno. 

In silenzio. 

Voleva piangere, ma non pianse.

Voleva spostarsi, ma non si spostò.

Immobile in mezzo alla camera, la mano destra levata a coprire il bagliore della lampada del comodino, sapeva già tutto. 

Voglio finirla. Nessuno sa cosa voglio fare.    

Finora aveva conosciuto tutt’al più solo sconcerto, premonizione e fatalismo. 

Si ricordò di quando le davano della sciroccata ed ogni volta rimaneva sempre sé stessa, camminando con un aspetto che già anticipava la fine della sua vicenda su questa terra.    

Era di una bellezza struggente e malinconica. 

Aveva una magnifica aria trasognata ed assente.

Muovendosi senza fare rumore estrasse da un cassetto un elastico. 

Non aveva mai giocato con un elastico.

Era un elastico arancione.

Lo guardò per molto tempo, quasi come se non avesse mai visto un elastico.

Lo teneva stretto tra le sue dita tremanti.

Emise un gemito soffocato che un attimo dopo divenne molto più forte, come se la paura avesse preso coraggio.

Capì subito.

Capì che tutto doveva essere fatto con un certo stile ed una certa destrezza.

Legò una dura corda alla trave principale della soffitta. 

Ah, se avesse potuto parlare quella soffitta… 

Pure i muri sapevano tutto.

Lasciò aperta la porta in cima di scala. 

Aveva lasciato un messaggio che fu letto dal prete durante la breve omelia che fece.

Qualcosa succederà. Qualcosa mi succederà. 

Lo so per certo. È scritto lassù. 

Anche se non c’è nessuno che l’ha scritto.

Ma so che qualcosa mi succederà. È scritto.

I pochi amici presenti mentre il becchino calava giù la bara in legno chiaro si misero a ballare sulle note di Paint it black. 

Il prete, viste le numerose bottiglie di vino rosso lì a pochi metri dalla fossa, con un cenno veloce della mano acconsentì che quei pochi amici bevessero in onore della loro amica.

Lei avrebbe sorriso finalmente ed avrebbe fatto l’occhiolino a quei pochi presenti, lì a testimoniare la sua bella libertà finalmente conquistata.