Due fatti, apparentemente scollegati tra loro. Il primo: durante l’emergenza sanitaria, nelle settimane del lockdown totale, gli animali selvatici si sono riappropriati degli spazi che l’uomo ha sottratto loro. Si sono visti in tv due caprioli in centro a Casale Monferrato, i delfini nel porto di Viareggio, i makaki che scorrazzavano nelle città thailandesi, i canguri indisturbati nelle vie di Adelaide. Impossibile non interpretare questo fatto come un segnale che ci lancia la natura, soffocata dall’urbanizzazione e dall’ingombrante presenza degli esseri umani. Il secondo: in India, dopo aver colpito un’altra ventina di paesi asiatici, un impressionante sciame di locuste si è abbattuto sulle coltivazioni, devastandole. Fatti del genere non sono infrequenti, ma questa invasione è la peggiore degli ultimi settant’anni, accentuata dai cambiamenti climatici e dalla penuria di pesticidi a causa del blocco dei voli aerei.

I due fatti testimoniano che i danni derivanti dall’antropizzazione, ovvero dalla trasformazione che l’uomo opera sull’ambiente, e il climate changing, richiedono interventi che non possono più essere procrastinati. A gennaio Ursula Von der Leyen ha promosso davanti alla Commissione europea che presiede il “Green New Deal”, un piano ambizioso che mira a rendere più sostenibili per l’ambiente lo stile di vita e il sistema produttivo dei cittadini dell’Unione. Purtroppo dopo poche settimane la pandemia da SarsCov-19 ha costretto a mettere in agenda le politiche sociali ed economiche europee, e la crisi ambientale legata ai cambiamenti climatici è passata in secondo piano. Tuttavia pochi giorni fa il presidente Conte è tornato ad accennare al Green Deal in una lettera pubblicata sul “Corriere” e sul “Fatto Quotidiano”, parlando del “Recovery plan” con cui i paesi membri dell’UE saranno in grado di far fronte alla crisi generata dal Coronavirus.

Nei primi dieci anni dalla sua attuazione il “Nuovo corso verde”, o “Patto verde per l’Europa” come lo hanno chiamato gli spagnoli, dovrebbe mobilitare più di cento miliardi di euro, parte provenienti da fondi strutturali già esistenti, parte da investimenti privati attirati dalle grandi opportunità offerte dalla green economy. All’Italia andrebbe una parte consistente di questo denaro, più di 360 milioni (anche se, in quanto paese membro, l’Italia contribuirà a finanziare il salvadanaio europeo). L’obiettivo è quello di contenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi prima del 2030, come stabilito già negli Accordi sul Clima del 2015 e ribadito lo scorso anno dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez davanti al Congresso degli Stati Uniti (peccato che il presidente Trump si sia poi chiamato fuori da quegli accordi siglati dal predecessore Obama).

Come fare? Con un piano strategico di leggi e regolamenti, in particolare la Legge sul Clima, vincolante per i paesi che si impegneranno a attuare provvedimenti per ridurre le emissioni, e la Legge per una transizione giusta. La prima comprenderà iniziative legate all’economia circolare (basata sul riciclo, per ridurre a zero la produzione dei rifiuti), alla salvaguardia o ripristino della biodiversità, all’incentivazione delle energie pulite e del trasporto pubblico a impatto ambientale ridotto, all’efficientamento energetico degli edifici, alla riduzione degli sprechi e delle frodi alimentari e molto altro (una panoramica completa si trova in rete sul sito dell’Unione). La seconda mirerà a proteggere quei paesi che soffrirebbero maggiormente la decarbonizzazione e il passaggio a un sistema produttivo non inquinante, con conseguente perdita di posti di lavoro: drammaticamente attuali il caso dell’Ilva di Taranto, delle acciaierie Arcelor Mittal o delle centrali a carbone sarde. “Non nuocere” e “Chi inquina paga”: due dei principi basilari del Green deal, che ha raccolto gli appelli di Greta Thumberg e dei suoi “Fridays for Future”. Molti gli ostacoli sulla via del cambiamento: resistenze politiche, crisi economica, e una prevedibile prassi che non ha tardato a manifestarsi, il “greenwashing”, ovvero il tentativo di alcune aziende di spacciarsi come verdi e attente all’ambiente per ottenere i fondi europei.

Speriamo dunque che la volontà comune di invertire davvero la rotta e frenare il drammatico cambiamento climatico in atto stavolta sia più forte delle resistenze dei singoli.