In silenzio, almeno per me, si preannuncia un altro Nata­le. Silenzio e poco calore, anche se, ormai da anni, tanti hanno già esposto lampadine colorate. Sarà un Natale diverso per chi considerava “quel giorno” un motivo di raccoglimento e di riunione particolare della fa­miglia. Inutile aggiungere altro; questi ultimi due anni hanno dato una bella botta a questa festività, ormai divenuta più di stante dalla Fede e più vicina la consumismo. E’ vero. Purtroppo parlo spesso del passato, pochissimo del futuro; sono così, e chi mi conosce lo accetta, con qualche presa in giro goliardica per risollevarmi il morale.

 

Dire che in questi tempi stia progettando qualche deside­rio, qualche sogno, un’evasione dal quotidiano, è poco vero; certo, però, non mi vesto di nero, e non vado cercando la “pa­tente” di menagramo come in una novella di Pirandello: Totò voleva che il “Pretore”, interpretato da Peppino De Filippo, gliela rilasciasse affinché quella sarebbe diventata ufficiale, con tanto di tariffario per tutte le richieste di allontanare il “malaugurio”. Niente “patente”, dunque, che già ce ne sono troppi che seminano zizzania a pagamento e non, e noi creduloni … E’ una realtà. Il mondo corre (tutto, ora, subito), e largo ai giovani, che “maneggiano” la tecnologia con una semplicità e velocità che mi lasciano di stucco.

 

Beh, però un po’ di colpa ce l’ho anch’io. Ho provato a salire sul treno della modernità, ma il mio biglietto non era per quello a grande velocità; no, il mio era per una littorina, e poi per i pendolari. Tante fermate, tante scomodità, lentez­za e confusione. Sono sceso, e avrei dovuto, come hanno fatto alcuni (o tanti?) coetanei, mettermi di buzzo buono e ricominciare a studiare. Invece, mi sono dedicato, all’inizio, all’orto, quello usato da babbo. I risultati? Non incoraggianti, perché si diventa “contadini” dopo generazioni, e mai in pochi anni. Però, questo intermezzo mi ha allontanato enormemente dal progresso arrembante e così rapido tanto da trovarmi non solo sorpreso ma anche lontano da questi nuovi tempi. Sarà stato così anche durante la mia adolescenza e gioventù, quando ci staccavamo dalle vecchie usanze dei nonni e, inevitabilmente, entravamo in conflitto con i genitori. C’era, però, un’aria diversa; c’era più entusiasmo, più felicità, più contentezza, più fiori.

 

E le minigonne … Ah, cosa si spalancava davanti agli occhi di noi ragazzotti, e che coraggio delle ragazzine indossarle! Che tempi, allora! Anzi, “che lavori!” esclamava ieri il caro Angelo della Simonetta, oggi ormai esploratore . . . Cominciavamo a capire che si stava entrando in un’altra epoca, con le automobili popolari, non arroganti come oggi: la 600, la 500, la Bianchina, l’A112: erano i miti, i miraggi della maggiore età, allora 21 anni, per non parlare dei motorini, del mitico Ciao, del potente Motom.

 

E a tavola? Già erano nate le prime crepe, soprattutto per la cena; non più il desco familiare per parlare di ciò che era successo nella giornata trascorsa, un riepilogo che riman­dava a tempi ed usanze lontani; ora, invece, per i ragazzi, la durata del pasto era come un pit-stop per il cambio delle gom­me in formula 1. Non potevamo perdere tempo, considerando la cena come una semplice merenda e nulla più. Problemi di peso? Riguardando le foto di allora, mi chiedo dove ho raccattato quei chili in più che non riesco a smaltire. C’erano, tuttavia, le festività, quelle canoniche, con il Natale in testa a tutte. Era proprio allora che si sentiva il “tocco” della nonna in cucina perché la mamma stava entrando in pista per lavorare. Ah, le patatine fritte della nonna! Mai più assaggiate come quelle! Era una delle occasioni in cui il pasto era completo. Crostini, un brodino (mmmhh) per aprire lo stomaco; lasagne o affini, e poi i secondi, che non finivano quasi mai.

 

Non si buttava via nulla; gli avanzi, la sera, e i giorni successivi. Chissà perché ricordo con affetto, e un po’ commosso, che a Collodi, come spazzino (il termine operatori ecologi ci sono stati inventati per prenderli in giro!!) c’era il Tem­perani, che da solo teneva in ordine il paese. Oggi, benvenuti turisti, con i bidoni straripanti di tutto e di più: che bella immagine del paese dei balocchi! Abbiamo migliorato? Siamo stati più bravi di chi ci ha preceduto? A voi la risposta. Il Natale era, ovviamente, l’occa­sione delle vacanze. Anche per quelle c’era gioia dentro; per non parlare della Capannella, di quando uscivamo a cercare la borraccina, e l’albero minuscolo, una delle usanze americane che, ancora oggi, inquinano il nostro modo di vivere e di pen­sare.

 

Quando poi capitava, quasi miracolosamente, che nevicas­se, la festa era completa. Non ricordo si parlasse di sci, dell’Abetone, e men che mai delle Alpi; importanti erano le palla­te di neve, piccole guerriglie, che ci invitavano nella strada. Battaglie che non sarebbero finite mai, se non fosse intervenu­to il richiamo familiare (meno male!); si tornava a casa paonazzi, le mani gelide, lo spirito altissimo. Che piacere, così semplice e tonificante! Le amicizie si rinsaldavano, e mi sembra di ricordare che, a parte le scontate “baruffe” paesane, ci fosse in giro un’at­mosfera di concordia e di armonia. Tanto tempo è passato e, come succede a tutti, le vicende di ieri, di ieri l’altro, assumono un aspetto particolare. So­no ricordanze che ci trasportano distanti da ciò che e oggi, la vita in questi attuali momenti. E’ certo che non fossero sol­tanto rose e fiori; le spine c’erano anche allora, ma la TV, che si guardava nei bar e in sale parrocchiali, sprizzava allegria e stupore.

 

“Allegria!” era la parola, con cui si presentava Mike Bongiorno, e ci illudevamo che quella scatola in bianco e nero ci regalasse sogni a go-go, tanto da sentirsi bene dentro. Messaggi semplici, comprensibili, rilassanti: era così il mio, il nostro mondo. Oggi, all’imbrunire, molto è cambiato. Ieri, le ansie, quelle piacevoli che provavamo tutti i giorni, alla mattina erano positive, anche se il nostro orizzonte cambiava obiettivo perché le nostre idee erano confuse. Questo perché eravamo nella terra di nessuno: una parte ancora legata al passato; un’al­tra, proiettata al futuro ed alle sue novità, che ci facevano spalancare gli occhi. Si diceva: domani farò quello, e il giorno dopo si cambiava idea perché c’era in giro un forte cambiamento nel modo di vivere e di pensare, e mancavano i punti di riferimento. La nostra era ancora vita cittadina, se non paesana, e la prima vera uscita di casa si aveva con il Servizio Militare.

 

Non ci sono più rivoluzioni: solo evoluzioni. Cioè, sem­pre avanti, sempre oltre, velocemente, come stanno facendo con le automobili; una pausa, e sei perduto. Ma perduto perché, per chi, come mai questa frenesia? Ecco, ora tutto mi è più chiaro: il VAR ha dichiarato che sono fuori-gioco: povero illuso! Così ti ritiri, anche involontariamente, e non entri nella, giostra dei millenials, quelli del duemila, una parola che, ai meno giovani, sembrava quasi fantascienza. Invece, ora è tutta attualità. Oggi più di ieri comandano le macchine tanto che anche i nuovi programmi scolastici prevedono la riduzione, o la scomparsa, della Storia, preceduta e compianta dalla mia generazione da quella della Geografia. La Geo, quanto era simpatica! Quanti voli di fantasia intorno al Globo, sugli atlanti e sulle mappe affisse alle pareti delle aule! Oltre a questi, ci permetteva le sufficienze in pagella che salvavano l’onore del tribolato percorso scolastico!

 

Diceva, il bigliettaio della corriera, nei momenti di punta: “Avanti c’è posto!”. Era un invito affinché tutti potesse­ro sedere, e far salire altri viaggiatori sul traballante, scomodo, puzzolente di nafta mezzo di trasporto. Succede anche oggi, leggo, ma quella poesia è finita e credo sia irripetibi­le. Bene, allora: “avanti tutta” come si dice in giro, e peg­gio per chi rimane indietro. Tutto è proiettato nel futuro, giustamente, ma io, o pochi altri, sto cercando malinconicamente di rivivere il passato. Tanti episodi, volti, panorami, so­no ormai scomparsi in quella nebbia in Valpadana sparita anche lei! Mi metto da parte, e cerco pochissimi contatti; quelli con i vecchi amici, che da decenni ci consoliamo a vicenda di ciò che è stato ieri -per noi- e che lo ripetiamo, magari co­me un disco rotto, ma che ci commuove sempre.

 

La commozione: questo è il mio tempo. Eravamo più forti, più “duri”, nei decenni scorsi. Piangere lo consideravamo una debolezza perché le gambe giravano, i capelli erano folti e svolazzanti, la pelle tesa, e quasi nulla ci faceva paura. Il mondo cambiava ma non ci spaventava: eravamo noi i millenials, ma di un’altra stoffa e di un altro mondo. Ora, anche le feste non ci trascinano più con quell’ecci­tazione e felicità e speranza che ci erano state trasmesse da­gli avi e dai genitori. Sembra quasi, ora, che tutte le setti­mane ci sia una festa: eventi inventati dal consumismo, pallide copie delle poche, ma amatissimi avvenimenti, la cui memo­ria ci accompagna, pur se debolmente, anche oggi. Sarà, forse, che anche noi genitori abbiamo sbagliato qualcosa? E’ un dub­bio che non sarà risolto.

 

In questa epoca, devi essere felice; felice e compratore, altrimenti, il giocattolo potrebbe rompersi con conseguenze inimmaginabili. Sta finendo, comunque, anche quest’anno, e si sente che anche lui e stanco. Non farò la capannella; cercare la borrac­cina costa fatica, e il tempo -brutto- lo sconsiglia.. Ci sarà un albero, per mantenere una tradizione nordica: non avremo più le pecorelle, ma le renne. Inoltre, i regali più importanti ce li fa lo stato sotto forma di tasse, imposte e vari balzelli: dice -lui- che sono necessari per il bene dei cittadini (ma mi veniva “sudditi”). Saranno giorni più vivi, che nasconderanno almeno la tristezza e la rassegnazione. Ce n’è bisogno, e così spero sarà per me e i miei, e per coloro che mi ricordano. Si mangerà un po’ di più; si berranno le bollicine, che non amo; troppi dolci, e con gli auguri di rito; anche quest’anno ci siamo.

 

Che la pace e la serenità ci facciano compagnia dentro di noi e nel mondo. In silenzio.