Del Campionato del mondo di calcio, concluso con con la vittoria dell’Argentina, abbiamo parlato con un celebre calciatore, Franco Colomba, già capitano di Bologna e Avellino e oggi allenatore affermato.

D. Colomba, come valuta l’esito di questo Campionato del mondo di calcio?
R. «Sono mancate all’appello finale il Brasile e la Spagna. In definitiva, le quattro squadre finaliste potevano essere queste, Argentina, Francia, Croazia e Brasile. Però, l’Argentina ha giocato un calcio bello e di velocità, soprattutto sugli esterni, come non si vedeva da anni. Anche la stessa Francia. L’Argentina ha riproposto un po’ un calcio tradizionale, ma basato anche sull’aggressività, la corsa e la qualità degli uomini determinanti».

D. Ritiene che l’Argentina abbia meritato la vittoria?
R. «L’Argentina ha toppato la prima partita per aver sottovalutato l’avversario e poi piano piano è entrata in gioco. Non è partita bene ma è arrivata benissimo. È cresciuta strada facendo grazie ai suoi giocatori di qualità e a qualche giovane interessante». 

D. Le prime quattro squadre classificatesi ai primi posti lo devono alla loro operazione offensiva o difensiva?
R. «A mio avviso, la Croazia, per esempio, era molto limitata in fase offensiva, ma si è difesa bene fino all’ultima partita, dove non ha fatto benissimo. Le altre squadre sono state forti in fase offensiva, perché l’Argentina possiede giocatori importanti in avanti e così anche la Francia. Sono state partite che hanno segnato un certo ritorno, come ripeto, ad un calcio tradizionale. Sicuramente a ritmi alti». 

D. Quali giocatori l’hanno sorpresa maggiormente?
R. «Giocatori bravi in questo Campionato ce ne sono stati tanti: Gvardiol e Modrić della Croazia, Ziyech del Marocco. Mi è piaciuto Griezmann nel ruolo inedito che ha avuto. Mi è piaciuto Messi che non ha più giocato da punta, ma da centrocampista offensivo e da punto di riferimento a tutto campo. L’intelligenza di Messi ha consentito di vincere il Campionato del mondo all’Argentina. Cosa che non è riuscita a Ronaldo. Ronaldo gioca per il goal e per la sua gloria. Messi, invece, si è calato nel ruolo di uomo squadra e di giocatore a tutto campo, che in ogni zona ha rifinito e ha messo in mostra la sua qualità a servizio della squadra. Questo è sinonimo di intelligenza, oltre che di passione. Insomma è stato molto intelligente. Ronaldo non c’è riuscito e questo testimonia che tra i due c’è una sostanziale differenza: Messi si è calato nel ruolo di uomo-squadra Ronaldo ha giocato per il goal, ma non è detto che se stai in avanti fai goal se non riesci a saltare l’uomo e a fare certe giocate come faceva prima».

D. Secondo lei, le uniche squadre rivelatrici sono state la Croazia e il Marocco?
R. «La Croazia non dimentichiamo che era arrivata nelle finali anche nell’ultimo Campionato del Mondo. Il Marocco è stata la vera sorpresa. Anche il Giappone in certe partite ha mostrato segni di crescita e così anche il Senegal. Sono due squadre ancora indietro, però stanno mostrando grandi possibilità di crescita».

D. A suo parere, il titolo di “eccellenza” lo assegnerebbe a Cristiano Ronaldo, Messi o Mbappè?
R. «Un riconoscimento a livello mondiale credo che, in base a quello che ho detto nelle risposte precedenti, se lo meriti Messi. Mbappè è un giovane calciatore che ha davanti ancora almeno otto-dieci anni di carriera. Ma per certi versi lo assegnerei a tutti e due».

D. Cosa dobbiamo aspettarci dalla nostra Nazionale allenata da Roberto Mancini?
R. «Dobbiamo aspettarci la crescita di quei quattro-cinque giovani che Mancini ha proposto negli ultimi tempi e sperare che ne vengano fuori altri. Non abbiamo molto tempo per i campionati Europei, ma lo abbiamo per il prossimo Campionato del mondo, che potrà essere l’appuntamento più importante da centrare e sarebbe spiacevole non arrivarci».

D. Colomba, la sua carriera calcistica si è svolta durante i memorabili anni Settanta e Ottanta in cui giocatori come lei lasciavano segni ben visibili…
R. «Erano gli anni in cui i giocatori più pagati al mondo venivano a giocare in Italia da giovani e non a fine carriera. Era un bel calcio e ho avuto la fortuna di misurarmi con grandi campioni. La mia carriera inizio’ nell’anno 1973/74 quando esordii con la maglia del Bologna, dove sono rimasto fino al 1983 tranne due parentesi in prestito al Modena e alla Sambenedettese in serie B. Furono due parentesi che mi servirono per capire che potevo fare il calciatore. Ero giovane avevo diciannove anni. La mia carriera si è equiparata a due squadre: Bologna e Avellino in serie A. A Bologna ebbi tante soddisfazioni, tre anni buoni e poi ci furono momenti negativi a carattere societario, che di conseguenza coinvolsero anche la squadra, che poi subì due retrocessioni. All’Avellino avvenne la mia rinascita, dopo gli ultimi anni non belli a Bologna, e qui mi sono tolto tante belle soddisfazioni, con goal importanti e la conquista di salvezze, tranne nell’ultimo mio anno quando non riuscimmo a centrare l’obiettivo».

D. La ricordiamo bene con la maglia numero 10 e la fascia da capitano dell’Avellino e in tempi diversi dal calcio di oggi…
R. «Ai miei tempi i procuratori non esistevano. Ti guadagnavi la pagnotta sul campo anno dopo anno, amavi e soffrivi per quella maglia. Oggi è un calcio cambiato. Mi meraviglia sentire dire che Totti ha sempre indossato la maglia della stessa squadra, quando ai miei tempi ce n’erano a decine di calciatori che sposavano una causa e la portavano fino in fondo. Il calcio è cambiato tutto e per certi versi non è migliorato».

D. Cosa rimpiange della sua carriera?
R. «Sono dell’idea che ogni persona riesce a fare è quello che merita. Ad un certo punto della mia carriera, quando retrocedemmo con il Bologna dalla serie A alla serie B, ebbi la possibilità di passare alla Roma. Mi avevano richiesto l’allenatore Nils Liedholm e il calciatore Falcão e rifiutai. Volevo, però, riportare il Bologna in serie A essendo anche capitano. Fu un grosso errore e mi costò tanto. La Roma vinse poi lo scudetto e noi del Bologna si retrocesse in serie C1. Fu una scelta negativa che però rifarei in quel determinato periodo. Fu un errore strategico…».

D. Però, ancora oggi lei costituisce un esempio per i giovani calciatori, soprattutto per quelli che ha allenato in varie squadre importanti come Napoli, Cagliari, Bologna, Parma, Vicenza, Reggina…
R. «Ognuno porta le proprie esperienze positive e cerca di trasmetterle, anche se nelle vesti di allenatore non è facile. Ogni campionato nasconde tante insidie. Fare l’allenatore non è come giocare a calcio. L’allenatore è il responsabile un po’ di tutto. Ho cercato sempre di fare le cose nel miglior dei modi».

D. Sono numerosi gli incontri che ha disputato nei suoi diciassette anni calcistici. Quali ricorda con particolare soddisfazione?
R. «Credo che la mia parentesi più bella sia stata a Reggio Calabria,  quando allenavo la Reggina. Ricordo che una volta vincemmo a Roma battendo la Roma di Fabio Capello per 2 a 0, una squadra che l’anno dopo vinse lo scudetto. Quella fu la partita delle partite. Da giocatore ricordo il mio esordio in serie A in occasione di Foggia – Bologna che termino 1 a 1 e feci goal su passaggio di Giacomo Bulgarelli: quell’assist che mi fece segnare sembrava quasi un passaggio di consegne. Ne avrei tante altre, come quando all’Olimpico contro la Lazio segnai il goal della vittoria dell’Avellino; poi il goal salvezza per l’Avellino a Torino contro la Juventus. Anche nella partita di andata avevo fatto goal alla Juventus. Tante gare e tante bei ricordi che ormai appartengono al passato, ma basta poco per rispolverarli».