Spesse volte capita di sfogliare gli almanacchi calcistici o gli album delle figurine Panini degli anni Settanta e Ottanta. Forse siamo spinti dalla nostalgia di quei tempi? Oppure un calciatore, una squadra ci legano a particolari ricordi? Siamo convinti di una cosa: dietro ad un calciatore e ad una squadra ci sono sempre cose interessanti da conoscere anche dopo tanto tempo.
In quegli anni sopra citati c’era anche lui, Renato Roffi, difensore del Cagliari con la sua storia e le sue emozioni. Lo ascoltiamo volentieri in questa nostra intervista. 

D. Come è nato il suo amore per il calcio e per il Cagliari?
R. «Sin da bambino desideravo sempre che in qualsiasi occasione festiva mio padre mi regalasse un pallone. Giocavo con il pallone dalla mattina alla sera, facendo spesse volte arrabbiare mia madre perché tralasciavo gli studi. E l’amore per il Cagliari nacque così: andavo al mare a Livorno e l’occasione mi era propizia per fare delle partite amichevoli con Costanzo Balleri, Armando Picchi, ecc… sebbene avessi 15-16 sedici anni e loro fossero più grandi di me. Una sera fui chiamato da Balleri a disputare una partita amichevole nei pressi di Pisa e mio padre mi accompagnò. In tribuna sedeva Ugo Conti, il vice di Manlio Scopigno allenatore del Cagliari. Al termine della gara venne negli spogliatoi e mi chiese il mio nome e cognome e dove giocavo. Poi volle parlare con mio padre dicendogli che avrebbe voluto portarmi al Cagliari. Mio padre manifestò immediatamente il suo dissenso, però disse che ne avrebbe parlato con mia madre. Io ci volevo andare in tutti i modi e fui talmente insistente che i miei genitori acconsentirono. Il Cagliari mi convocò immediatamente al ritiro pre-campionato ad Asiago per una prova; c’erano i grandi giocatori rossoblu, Riva, Albertosi, Cera, Domenghini, ecc… La prova ebbe un esito positivo e così iniziai a giocare nella Primavera e poi successivamente nella prima squadra».

D. Quale stagione e quale giorno rimangono memorabili per lei?
R. «La stagione memorabile fu sicuramente quando vincemmo il campionato di serie B al termine della stagione 1978-79. Fu davvero una stagione eccezionale.
Il giorno memorabile, invece, fu la partita del mio esordio in serie A. Avvenne in occasione dell’incontro Milan-Cagliari. Era il 14 novembre 1971. La partita terminò 0-0. Ricordo che l’allenatore Scopigno inizialmente mi fece sedere in panchina, poi, nel secondo tempo si infortunò Domenghini e così scesi in campo. Nel Milan militava Gianni Rivera, Romeo Benetti, Pierino Prati… Fu un giorno molto bello. Con la maglia del Cagliari ho disputato 90 partite in serie A e 80 partite in serie B».

D. Tra i suoi colleghi calciatori e allenatori che ha incontrato nella sua carriera chi mette sul podio?
R. «Per quanto riguarda gli allenatori sul podio metto Luigi Radice, Manlio Scopigno e Lauro Toneatto. Per quanto riguarda i calciatori con i quali sono amico metto sul podio Oreste Lamagni, Roberto Quagliozzi e Massimo Briaschi. E sul podio metto anche Gigi Riva, Enrico Albertosi, Angelo Domenghini e Sergio Gori».

D. Quanto sono stati importanti gli allenatori Manlio Scopigno e Mario Tiddia nella sua carriera?
R. «Ho avuto diversi allenatori, Scopigno Radice, Suarez, Chiappella e Toneatto. A Scopigno non gli interessavano molto i giovani, infatti non veniva mai a vedere le partite “giovanili”. Venne un giorno quando giocavo ancora nella primavera del Cagliari. Ricordo che giocai bene e al termine della partita mi disse: “Da lunedì vieni ad allenarti con noi”. Fu la mia fortuna perché da lì iniziò la mia esperienza con il Cagliari. Allenandomi con Gigi Riva, Domenghini, ecc… migliorai giorno dopo giorno. Con Mario Tiddia non andavo molto d’accordo».

D. Il calcio le ha cambiato la vita?
R. «Giunsi a Cagliari che avevo poco più di 16. Credo che fare il calciatore sia una cosa meravigliosa. Non come certi giocatori di oggi che non sono umili. Mio padre mi insegnò sempre l’umiltà. Pensa, per esempio, al nostro amico Giovanni Toschi. Ha giocato a grandi livelli con il Torino, con il Cesena ed è una persona umilissima. L’umiltà è una cosa importantissima per un calciatore». 

D. Lei è un calciatore degli anni Settanta. Cosa aveva il calcio di quegli anni in più di quello di oggi?
R. «C’era più classe e c’era la possibilità, per esempio, di fare un tunnel. Poi c’erano anche grandi calciatori come Gianni Rivera, Sandro Mazzola e Gigi Riva in Italia e in Europa come Franz Anton Beckenbauer. Ai miei tempi era un calcio più “rallentato”. Oggi c’è molto pressing».

D. Si aspettava un calcio così diverso rispetto ai suoi anni?
R. «Sì, me lo aspettavo. Anche negli ultimi anni che giocavo gli allenamenti iniziarono a cambiare e iniziammo cose nuove. Oggi, ripeto, c’è molto pressing. E se applichi il pressing il calciatore deve essere tecnicamente molto più bravo per stoppare la palla e per non perderla. Non è tanto semplice». 

 D. Quale rapporto mantenne con i tifosi in questa lunga esperienza calcistica con il Cagliari?
R. «Quando giocavo e vivevo a Cagliari mi chiamavano la “prostituta” di Cagliari, perchè mi invitavano a pranzo in più famiglie e dove c’erano soprattutto ragazzi della mia età. Ero sempre a mangiare di là e di qua, quando dal muratore e quando dall’ingegnere; quindi, il rapporto con la tifoseria sarda è sempre stato buonissimo».

D. Come si concluse la sua carriera calcistica?
R. «All’età di 27 anni fui colpito da una malattia al rene che mi costrinse a stare lontano dai campi di calcio per un anno. I medici mi consigliarono di smettere di giocare per almeno ventisei mesi. Ero distrutto moralmente. Il Cagliari mi restituì il cartellino perché erano convinti che non ritornassi più a giocare. Dopo un ciclo di terapie ripresi ad allenarmi. Sorprendentemente recuperai. La Lucchese, che militava in serie C, mi voleva a tutti i costi. Avevo 28 anni. Nel frattempo per tenermi allenato disputavo delle partite amichevoli, soprattutto nelle zone del ferrarese. Ad una di queste venne a vederci l’allenatore Toneatto, che già mi aveva allenato a Cagliari negli anni 1976-78. Mi volle portare a giocare nella squadra che in quel momento allenava: la Pistoiese. Era il 1981. A Pistoia ebbi compagni, tra l’altri, Claudio Desolati, Fabrizio Berni, Giorgio Rognoni, Sergio Borgo, ecc… Iniziai bene. Alla seconda partita del campionato, però, mi fratturai tibia e perone. Soffrii tanto. Dopo varie ingessature e riabilitazioni ripresi ad allenarmi. Un giorno mentre mi allenavo a Pistoia ricordo che dissi all’allenatore Toneatto: “Mister, sarà meglio che smetta di giocare?” Avevo paura di infortunarmi nuovamente. Lui mi rispose: “Trovati un bel lavoro perchè è meglio che tu smetta, vedo che non hai più la sicurezza di un tempo”. Così feci. Avendo conseguito a suo tempo il diploma di ragioniere sostenni un concorso e fui assunto in banca. Tuttavia non ho abbandonato il calcio. Ho allenato in Terza categoria, poi in Seconda categoria e dopo mi sono sempre dedicato ad allenare i giovani fino ad oggi».

D. Nei giorni scorsi è venuto a mancare Gigi Riva. Che giocatore fu?
R. «Credo che un altro giocatore come Riva non sia ancora nato. È stata una persona umile. Proveniva da una famiglia dove era rimasto orfano ed è stato la miglior punta del mondo. Non correva molto, ma quando faceva lo scatto era una potenza. Quando aveva la palla al limite dell’area le più volte faceva goal. Non amava scherzare troppo; ma in certe occasione era simpatico».